CATANIA
– Concerto musica barocca : La Natività nel secolo dei
Lumi, in chiesa Badia Sant’Agata.
Ultimo appuntamento con Catania Musica Antiqua Festival:
sabato 15 dicembre, alle ore 20.30, nella Chiesa Badia
di Sant'Agata , via Vittorio Emauele II, 182, a
Catania. Il concerto è della SìBarO' Orchestra,
diretta da Angelo Litrico: “La Natività nel secolo dei
Lumi”, con le musiche : Heinichen, Bach, Haendel,
Porpora, Corelli e Vivaldi, con Annamaria Pennisi
soprano e Dario Russo basso. La natività fa da sfondo al
concerto proposto e diretto dal maestro Angelo Litrico
che si avvale delle straordinarie voci di Annamaria
Pennisi) e Dario Russo, presentando un programma in
larga parte ispirato al Natale con arie tratte dal
“Laudate pueri Domine” di Vivaldi, dal “Messiah” di
Händel e dalla cantata “Süβer Trost, mein Jesus Kömmt”
di Johann Sebastian Bach alle quali si aggiungono i
lavori strumentali di Heinichen e Corelli appositamente
scritti per la notte di Natale.Il concerto offre pagine
dai colori tenui con due compositori italiani: Porpora e
Scarlatti i quali completeranno l’offerta musicale della
serata. L’Orchestra SìBarÓ raccoglie eccellenti
musicisti da diverse parti della Sicilia orientale che,
attenti all’estetica e alla prassi in uso tra Seicento e
Settecento, utilizzano strumenti originali, o copie
fedeli dell’epoca. L’approccio filologico in musica si
prefigge, fin dove è possibile, la restituzione al
pubblico di una percezione stilistica e timbrica coeve
al pensiero dell’autore, un delicato restauro che
avviene attraverso un’attenta lettura delle partiture e
dei trattati a noi oggi pervenuti appartenenti alla
tradizione colta. L’Orchestra Barocca SìBarÓ è formata
da: Carla Marotta, Dario Militano, Clelia Lavenia e
Iryna Viktarouskaja, violini - Salvatore Randazzo, viola
- Sun ah Choi, violoncello - Lamberto Nigro,
contrabbasso - Rosaria Politi, cembalo - Anna Spoto e
Enrico Luca, travesieri - Anna Barbagallo, flauto dolce.
CATANIA
-
Musiche vocali e strumentali tra 1600-1750, Vivaldi e
Telemann a concerto esordio per stagione SiBarO’.
L’esibizione della Sicilian Baroque Orchestra
si è tenuta nella chiesa di via Crociferi ed è inserita
nell’ambito del Catania Musica Antiqua Festival 2018. La’Orchestra
acronimo SìBarÓ, è stata creata ad iniziativa del
clarinettista Angelo Litrico, il quale la dirige. La
struttura musicale si compone di musicisti desiderosi di
far conoscere le musiche vocali e strumentali risalenti
ai decenni compressi tra il 1600 e il 1750. Le
composizioni del tempo esprimono una “energica gioia di
vivere, convertita in pagine musicali opulente e
sontuose anche quando ad eseguirle sono piccoli gruppi”.
Il primo concerto della stagione 2018 è stato tenuto in
via Crociferi, nella chiesa di San Camillo dei Mercedari,
edificio barocco che per acustica e per architettura si
è rivelato congeniale. Il repertorio proposto era
centrato sulle sonorità brillanti di sommi compositori:
Antonio Vivaldi (1678-1741) e Georg Philipp Telemann
(1681-1767). I due solisti Giorgio Mandolesi al fagotto
e Piero Cartosio al flauto dolce, sono celebrità nel
loro settore ed hanno catturato scena e applausi.
Enrico Luca e Anna Spoto, al flauto traversiere, sono
stati gli altri due solisti che hanno imbastito con la
SìBarÓ (acronimo di Sicilian Baroque Orchestra) il
“Concerto per fiati nel primo Settecento”. Gli artisti
hanno eseguito di Vivaldi il concerto per archi e
cembalo Rv 121; il concerto per fagotto “La Notte” Rv
501 (qui il Prete rosso descrive in musica inquietudini
e misteri che accompagnano quel fenomeno naturale); il
concerto per fagotto, archi e cembalo Rv 484.
L’orchestra dopo la tradizione musicale della Laguna
veneta, ha affrontato un altro esempio di estetica
settecentesca, proponendo musiche di Telemann, il
compositore fortemente influenzato dalle sonorità del
veneziano Corelli. Gli artisti hanno eseguito il
concerto per due flauti traversi, fagotto, archi e basso
TWV 52: e2; il concerto per flauto dolce, flauto
traverso archi e basso TWV 52: e11; il concerto per
flauto dolce, fagotto, archi e basso TWV 52: f1.
L’ultimo movimento di quest’ultimo, il trascinante
Allegro, è stato concesso come bis. I componenti
dell’Orchestra sono stati deliziatori sotto l’egida
dell’Associazione Collegium Musicum Catania, promuovono
la diffusione del repertorio barocco tutti sono
meritevoli di menzione : Carla Marotta, Teresa Lombardo,
Fiore Weidmann e Francesco Toro, al violino; Salvatore
Randazzo, alla viola; Sun ah Choi e Jascha Parisi al
violoncello; Christin Vaccaro, contrabbasso; e Rosaria
Politi al cembalo. Gli orchestrali sono pressoché tutti
residenti nella Sicilia orientale ed è ammirevole il
loro impegno, di cui tangibile prova hanno dato in
concerto. Il musicista, oltre alle capacità
interpretative, deve anche saper comunicare con il suo
pubblico creando un feeling che è fatto pure di
gestualità. Il fagottista Giorgio Mandolesi (che
imbracciava il suo strumento come un chitarrista rock)ed
il flautista Piero Cartosio si sono rivelati imbattibili
nell’arte musicale espressiva e gestuale. I due
esecutori in faccia a faccia hanno rivelato due
personalità contrapposte, gagliardamente estroverso e in
camicia rosa il primo, efficacemente taciturno e
spirituale il secondo: anche questo è spettacolo. Il
prossimo appuntamento è programmato per sabato 24
novembre, nella Chiesa Valdese di via Naumachia 18, alle
ore 20.30 con il “Barocco d’Oltremanica”.
CATANIA
-
Teatro Stabile, Assemblea soci unanime su bilancio 2014,
rinnova Collegio Revisori.
L'organo, presieduto da Nino Milazzo si è riunito, il 4
agosto alle ore 17,
negli uffici dell'Ente presso il complesso fieristico
“Le Ciminiere”.
L'Assemblea dei Soci del Teatro Stabile di Catania,
presieduta dal giornalista Nino Milazzo, ha approvato
all'unanimità il bilancio consuntivo 2014. Alla
riunione col presidente dello Stabile Nino Milazzo
hanno presenziato: per la Regione il dott. Valerio
Garraffa, per il Comune il dott. Massimo Rosso, per la
Provincia Regionale di Catania la dott.ssa Clara
Leonardi, per l'Ente Teatro di Sicilia l'avv. Renato
Sgroi Santagati.
Erano altresì presenti: il vicepresidente del Consiglio
d'amministrazione avv. Jacopo Torrisi, i consiglieri
dott.ssa Celestina Costanzo (per la Provincia) ed il
dott. Raffaele Marcoccio (per l'Ente Teatro di Sicilia),
il revisore dei conti uscente Francesco Piccirillo ed il
direttore del TSC Giuseppe Dipasquale. L’Assemblea
ha anche approvato, con l'attesa designazione del nuovo
membro da parte della Regione, il rinnovo e composizione
del Collegio dei Revisori dei Conti, che risulta così
formato: dott. Massimo Baraldi, presidente (per il
MiBACT, Ministero dei Beni e delle Attività Culturali
del Turismo), dott. Francesco Torre (per il Comune),
dott. Gioacchino Orlando (per la Regione).
CATANIA
-Teatro Stabile: cordoglio per scomparsa del presidente onorario
Ignazio Marcoccio. Il Teatro Stabile è in lutto ed esprime vivissimo
cordoglio per la scomparsa di Ignazio Marcoccio, per lunghi decenni
legato in modo continuativo ed indissolubile al percorso istituzionale
dell’ente, da lui seguito con vigile passione e tenacia d’azione.
Affermano Pietrangelo Buttafuoco Presidente Teatro Stabile Catania e
Giuseppe Di pasquale Direttore Teatro Stabile Catania:”Tante le
battaglie, combattute e vinte, che lo hanno visto profondere per lo
Stabile un impegno a 360 gradi, sul piano artistico, culturale,
gestionale. Una dedizione costante e incondizionata: dapprima da
sindaco, poi da vicepresidente e presidente, infine - e fino a ieri - da
presidente onorario, il primo nella gerenza dello Stabile etneo, che gli
aveva così conferito una carica affatto onorifica, continuandone a
tenere nella massima considerazione pensiero e consiglio. A quanti
hanno a cuore la sorte di tutto il teatro, non solo dello Stabile etneo,
la sua figura rimane e rimarrà quale lare protettore di una concezione
etica dell’arte, per molti versi affine agli ideali di correttezza,
lealtà, autonomia da condizionamenti, cui dovrebbe conformarsi
l’attività sportiva che gli era altrettanto cara. Ignazio Marcoccio è
stato davvero in questo un nume tutelare e combattivo, e non solo in
senso metaforico, se si pensa alla virtuosa caparbietà con cui si è
battuto per la battaglia delle battaglie: tenere lontana la politica dal
teatro”. Il commento a caldo del presidente della Regione siciliana
Raffaele Lombardo alla notizia del decesso di Ignazio Marcoccio, già
sindaco di Catania, dirigente del Coni, vice presidente del Teatro
Stabile e presidente del Calcio Catania: "Con la morte di Ignazio
Marcoccio se ne va un pezzo di storia della città di Catania. Ho
conosciuto Marcoccio negli anni settanta e di lui custodirò per sempre
il ricordo di un uomo d'altri tempi. Una persona amabile, cordiale, che
ha speso la sua vita al servizio della città di Catania, da semplice
cittadino, da amministratore lungimirante e da straordinario dirigente
sportivo che insieme a Carmelo Di Bella ha scritto alcune delle pagine
più belle della storia del Calcio Catania, promuovendo allo stesso tempo
la realizzazione di importanti impianti sportivi. Un gran signore che
lascia un vuoto difficilmente colmabile".
Catania
– Bellini, lavoratori protestano su tetto. Antonio Santonocito,
il segretario regionale Snalv ConfSal – Sindacato Nazionale Autonomo
Lavoratori e Vertenze è duro, afferma in un comunicato di Desirée
Miranda:” Mesi e mesi di attesa per il rinnovo del contratto lavorativo
che ancora non arriva per motivi burocratici e politici. Siamo stanchi
di aspettare e ancora aspettare una soluzione che non arriva. Dov'è il
sindaco Enzo Bianco quando si tratta di difendere non solo i lavoratori
e le loro famiglie, ma anche un patrimonio culturale e artistico di
immenso valore qual è il teatro Massimo Bellini?". L'intervento è di
Santonocito
a proposito della vicenda dei lavoratori che insieme ai musicisti
permettono lo svolgimento degli spettacoli del teatro. Antonio
Santonocito aggiunge nello scrito:”Una storia vecchia che coinvolge 28
tra autisti, addetti al controllo di sicurezza dei macchinari,
falegnami, pittori, caldaisti, archivisti, sarti, uscieri e tante altre
figure professionali indispensabili al funzionamento della struttura,
che non solo vivono una condizione di precariato da circa 20 anni, al
momento non hanno rinnovato il contratto e non sembra esserci una
soluzione per il loro futuro. Nonostante avrebbero da tempo maturato i
requisiti per una assunzione a tempo indeterminato e la loro opera sia
indispensabile, dunque, per loro nessun contratto e nessuna
remunerazione. Da mesi ormai protestano perché, data la situazione
precaria ventennale, si chieda alla Regione Siciliana una deroga alla
legge che impedisce nuove assunzioni a causa delle ristrettezze
economiche, ma dopo tante promesse e tanti rinvii ancora un nulla di
fatto. Non se ne può davvero più, sembra il gioco delle tre carte per
cui una risposta a queste famiglie non arriverà mai”. Le lamentele del
segretario generale Snalv-ConfSal sono dirette sia alla sovrintendente
Rita Cinquegrani che al sindaco Bianco. Antonio Santonocito nello
scritto aggiunge:” la sovrintendente ha sempre rinviato il tutto senza
trovare ad oggi una soluzione tanto che la richiesta di deroga non è
ancora stata inviata, ma anche e soprattutto il presidente del teatro
Massimo cittadino: il sindaco Bianco, è lui che deve pensare al teatro
come una risorsa per il rilancio della città che deve essere soprattutto
in senso culturale. Il teatro è chiuso da mesi ed i lavoratori non
lavorano, è assurdo. Non si può parlare solo di calcio in questa città,
c'è anche molto altro che può e deve essere valorizzato sia in termini
di strutture che di professionalità". Si attende la risposta di sindaco
e sovrintendente.
.
Catania – In scena
verità ed onore della “brocca rotta”. Si apre il sipario e
all’improvviso i personaggi di un inanimato quadro di Pieter Bruegel
prendono vita nel borgo olandese. Si sono presentati così gli attori
della “Brocca rotta “(Der zerbrochene Krug,) di Heinrich von Kleist
spettacolo rappresentato al teatro Angelo Musco di Catania. Contadini,
donne, servette e uomini di giustizia , hanno animato il palcoscenico
del teatro come nel celebre quadro del pittore fiammingo“ La danse de la
mariée en plain air” in una scena ricca di contrasti e colori, grazie a
Riccardo Perricone e Dora Argento i quali hanno , uno allestito la
scenografia e l’altra disegnato i costumi. La storia mossa da una velata
ironia socratica ora comica ,ora grottesca, si muove sullo sfondo di un
borgo olandese, per smascherare la figura di un giudice che da
indagatore risulterà essere l’indagato ed infine il colpevole. Il
regista Nino Mangano ambienta il testo all’aperto in uno spazio
adiacente l’abitazione del giudice Adamo (Mimmo Mignemi), nel
villaggio olandese di Hiusum ,che nell’agitazione per la notizia
dell’imminente arrivo del consigliere del tribunale per un’ispezione,
scopre di aver perso la sua parrucca , simbolo e strumento per
impartire in modo imparziale la giustizia, la quale come recita la
famosa frase dovrebbe essere uguale per tutti. Così alla presenza del
consigliere (Angelo Tosto), una sorta di gigante buono, alto con una
giacca nera da allampanato, indefesso paladino della verità e del
giudice Adamo, il quale si mostra al contrario propenso a concludere
il caso in tutta fretta, si inizia l’istruttoria del giorno , ovvero
quello della signora Marta (Raniela Ragonese). Questa accusa
Roberto(Giampaolo Romania) fidanzato della figlia, Eva (Egle Doria), di
essersi introdotto la notte precedente in casa sua e di aver rotto una
preziosa brocca che si trovava nella sua stanza . Roberto si difende
sostenendo di aver trovato un altro uomo nella stanza di Eva, il quale
avrebbe rotto lui la brocca(eufemismo usato nella storia per intendere
la perduta verginità della figlia), ovvero un orcio fiammingo di
pregevole valore, dandosi poi alla fuga. Il giudice Adamo è a disagio e
al consigliere appare chiaro come questi stia cercando di risolvere in
fretta la questione, quasi per togliersi dagli impicci. Eva, che
potrebbe porre fine alla questione, si rifiuta di rivelare il nome del
suo "visitatore". Ma l’improvvisa testimonianza di una vicina di casa
Brigida (Margherita Mignemi) mette fine alle discussioni. Lei ha trovato
vicino alla finestra di Eva proprio la parrucca del giudice. Ad Eva non
resta altro che accusare il giudice Adamo e raccontare finalmente come
si sono svolti veramente i fatti. Questa volta al contrario della
biblica Eva, l’Eva di von Klein non ha indotto in tentazione il
vecchio Adamo con una mela , ma è Adamo che attenta l’onore di Eva
con la promessa dell’esonero dal servizio militare di Roberto, il
fidanzato. Conseguenza, Adamo , a differenza del suo antesignano
predecessore non verrà cacciato dal Paradiso , ma è lui stesso che
fuggirà dal paese quello ,che per il suo modus vivendi licenzioso, era
stato il suo di Paradiso. Il racconto è la metafora di una giustizia
torbida e troppo spesso male amministrata, dove chi dovrebbe giudicare
diviene l’ accusato. Rappresentata da Goethe a Weimar nel 1808, La
brocca rotta è una commedia ispirata ad un'incisione intitolata Le
juge, ou la cruche cassèe che von Klein aveva visto a casa di un suo
amico Heinrich Zschokke . Assieme d alcuni suoi amici presenti, quasi
per scommessa, aveva tentato di costruirne una storia che poi divenne
l’opera teatrale rappresentata nel 1806. Il testo conferma la tendenza
"metafisica" delle opere del drammaturgo tedesco che trasforma la
comicità in caricatura grottesca attraverso l’ aggiunta di una lettura
simbolica e filosofica. Il risultato è una complessa commedia, tessuta
attraverso piani diversi che si intrecciano, coniugando divertimento,
ironia e riflessione sulla natura dell’uomo e sulle sue debolezze.
Heinrich von Kleist ambienta l’opera teatrale nelle Fiandre, ma
attraverso l ‘escamotage del romanzo storico , vuole parlare della
Germania del suo tempo. L'ambientazione rurale dei personaggi
apparentemente imprigionati nei costumi, negli usi e nelle convenzioni
di quell'ambiente,con la loro ignoranza e con la loro furbizia sono la
veste di un mondo ben diverso da quello che viene evocato. Il loro mondo
in realtà è quello di Kleist: la Prussia (e la Germania) a cavallo tra
Settecento e Ottocento, la crisi culturale in cui si snervano le menti
più alte e sensibili del tempo, l'avanzata inarrestabile di una classe
borghese che continuamente deve fare i conti con l'arretratezza politico
istituzionale del paese, la crisi dell'illuminismo. Non si tratta
quindi solo di una commedia realistica su un giudice corrotto in un
villaggio delle Fiandre, ma di un capriccio filosofico che, complice la
lingua, mette a nudo con estrema crudeltà i meccanismi di false verità
in cui un mondo, quello di von Kleist, si crogiola e si muove senza
saperlo. E’ una commedia sul bisogno di verità e sull'ineludibile
impossibilità di conoscerla; sulla consapevolezza dell'assenza di
giustizia e sull'ostinazione a volerla ottenere. Questa brocca assume
però un valore metaforico, un doppio senso fortissimo che va di pari
passo con la perdita della reputazione e della verginità , da parte di
una giovane fanciulla che ha ricevuto nella sua camera un misterioso
visitatore e con la decorazione della brocca ormai deturpata dalla
caduta. La brocca che è andata rotta era decorata proprio con la
consegna delle Fiandre a Filippo II. Un evento fondamentale per quel
Paese e proprio lì dove era raffigurato il re mentre riceveva la
corona, si è creato un vuoto diminuendo il valore del prezioso
oggetto. Le Fiandre tra tutti i territori di Filippo II, costituivano il
cuore produttivo per eccellenza. Erano ricche di manifatture per la
lavorazione della lana e della tela, nonché di cantieri navali. Ad
Anversa venne fondata la prima Borsa europea e da qui passavano gli
enormi capitali del traffico delle spezie. Felice è l’intuizione del
regista nell’impostare la recitazione secondo la prossemica gestuale
della gente del sud e il vernacolo nella tipica cantilena dialettale ,
tanto è vero che in alcune scene del processo sembrava di essere in
“Civitoti in pretura “ di Nino Martoglio. Chi è il giudice Adamo? E’
un giudice libertino poco incline a somministrare la giustizia, della
quale ha un concetto tutto suo , che istruisce il processo con una
vistosa ferita sulla testa, la quale svela al pubblico divertito il
satiro , sotto le mentite spoglie del giudice. E’ lui che ha rotto la
brocca attentando all'onore della ragazza come “compenso” in natura per
il favore fatto. Il tema della giustizia fu una delle (tante) ossessioni
di Heinrich von Kleist, morto suicida nel 1811, a soli 34 anni. Basta
pensare al protagonista di un suo racconto, il mercante di cavalli
Michele Kohlhaas che, frustrato nel suo maniacale desiderio di
risarcimento, invoca senza esito “…Ci sarà pure un giudice a Berlino!” .
L’interpretazione di Mimmo Mignemi del giudice corrotto e vile, a tratti
malizioso e a tratti falsamente ingenuo, emoziona e travolge il
pubblico il quale anche se ridendo prova simpatia per il furbo
personaggio e riflette sulle debolezze umane. Altra protagonista dello
spettacolo è Marta la madre , che attribuisce al suo personaggio una
straordinaria volontà e fermezza, la quale una volta viste crollate le
sue certezze, non desiste dal continuare la sua ricerca di giustizia
per l’unica cosa che le è chiara: la rottura della brocca. Oriana
Oliveri
CATANIA
- L’attore
Beppe Fiorello
ha direttoe
girato nel centro storico della città barocca di Scicli
uno spot pubblicitario sulla lotta contro la violenza sulle donne
presentato, venerdì sera, nell’aula magna del
Rettorato dell’Università di Catania.
L’incontro
è stato aperto con i saluti del direttore del
Csve
(ascolta
l'intervista). Hanno preso parte alla presentazione dello spot le associazioni di
volontariato della Rete Tematica: "Lotta contro la violenza alle donne".
Sono state presenti le rappresentanti: del Centro di servizi per il
volontariato Etneo , promotore dell'iniziativa, delle Associazioni:
"Penelope", ANDIT e Angeli Lentini, ed Angeli Carlentini, Olimpia De
Gouges, del Centro Antiviolenza "La Nereide "ascolta
l'intervista con la presidente Adriana Prazioe Nuova Vita onlus - Centro antiviolenza.Lo spot è stato realizzato
con professionisti ed a titolo gratuito da Beppe Fiorello
(ascolta
l'intervista)in 2 versioni : la prima di 30 secondi per le tv e la
seconda di 4 minuti per la proiezione nelle scuole. Nel corso della
presentazione dello spot si è sviluppato un colorito dibattito sulle
violenze che le donne subiscono, sulla difficoltà delle vittime a
denunciarle e sui problemi logistici della associazioni di volontariato
che si muovono in regime di massima discrezione ed economicamente poco
sostenute. Ricerche sul fenomeno dello stalking hanno rilevato che il
98% delle vittime della violenza domestica sono donne e che una donna su
cinque è stata vittima almeno una volta ad opera del suo coniuge o
partner.
Con l’applicazione della legge sullo stalking molto sta cambiando,
ed i responsabili maschi vengono perseguiti, ma soltanto un caso di
violenza su 20 viene denunciato. Beppe Fiorello quale regista ed attore
dello spot ha voluto che si percepisse un messaggio pacato e molto soft,
non aggressivo su un argomento che socialmente è molto forte e di grande
risonanza. Al termine della serata sono stati distribuiti anche
calendari del Centro Servizi Volontariato Etneo realizzati con le
diapositive estrapolate dallo spot realizzato da Beppe Fiorello. Sulla
prima pagina oltre alle foto ed i loghi delle associazioni la frase di
Madre Teresa di Calcutta:”Amiamo… non nelle grandi ma nelle piccole cose
fatte con grande amore. C’è tanto amore in tutti noi. Non dobbiamo
temere di manifestarlo”.
CATANIA
- “La
scuola delle mogli” di Molière a Teatro Stabile. Lo spettacolo è
alla sala Verga di Catania dal 5 al 17 marzo.
Eros Pagni per la regia di Marco Sciaccaluga con versione italiana di
Giovanni Raboni. Per la Stagione del Teatro Stabile di Catania, al
Teatro Verga “La scuola delle mogli” di Molière, versione italiana
Giovanni Raboni, regia Marco Sciaccaluga, scena Jean-Marc Stehlè e
Catherine Rankl, costumi della stessa; musiche Andrea Nicolini, luci
Sandro Sussi; con Eros Pagni, Alice Arcuri, Roberto Serpi, Roberto
Alingheri, Mariangels Torres, Federico Vanni, Marco Avogadro, Massimo
Cagnina, Pier Luigi Pasino; produzione Teatro Stabile di Genova. C’è
attesa per il ritorno sulla scena etnea del grande Eros Pagni, ancora
una volta ospite del Teatro Stabile di Catania. Diretto magistralmente
dal regista Marco Sciaccaluga, l’attore ligure è protagonista di un
classico dalla trascinante vis comica come “La scuola della mogli”, in
cui dà vita ad uno straordinario Arnolfo, ruolo che Molière aveva
scritto per sé. Il celeberrimo titolo, proposto nella versione italiana
di Giovanni Raboni, arricchisce la stagione dello Stabile catanese,
intitolata dal direttore Giuseppe Dipasquale alla proteiforme “Arte
della commedia”. La nuova produzione in tre mesi di tournée nazionale,
ha raccolto ottimi consensi, a conferma della qualità che
contraddistingue gli allestimenti dello Stabile di Genova, di cui
Sciaccaluga è condirettore: una lunga serie di successi, in gran parte
firmati dallo stesso Sciaccaluga e affidati al versatile estro di Pagni,
autentica colonna del prestigioso ente teatrale. Nel cast spiccano
altresì Alice Arcuri (Agnese) insieme a Roberto Serpi (Orazio), Roberto
Alinghieri (Alain), Mariangeles Torres (Giorgina), Federico Vanni (Crisaldo),
Marco Avogadro (Enrico), Massimo Cagnina (Oronte) e Pier Luigi Pasino
(un notaio). La scena è ideata da Jean-Marc Stehlé e Catherine Rankl
(autrice anche dei costumi), musiche di Andrea Nicolini, luci di Sandro
Sussi. “La
scuola delle mogli” è un capolavoro di analisi psicologica e
comportamentale. È sì la storia dell’amore impossibile di un uomo
anziano per una ragazza che ha educato con il progetto di farne la
moglie ideale. Ma è anche un inno alla libertà individuale, che mal
sopporta i vincoli imposti dall’autoritarismo ideologico: lo stesso di
cui si alimentano i vaneggiamenti pedagogici e matrimoniali di Arnolfo,
il quale - spinto da radicale sfiducia nelle donne - è convinto sia
meglio una moglie poco attraente e sciocca piuttosto che bella e
intelligente. Rappresentata per la prima volta nel
1662, “L’école des femmes” si rivelò subito di forte impatto. Tutta
Parigi, con Luigi XIV e la famiglia reale in testa, accorse a vedere ed
applaudire uno spettacolo che, impostosi per la magistrale drammaturgia
e l’incalzante comicità, suscitò d’altro canto scandalo e furiose
polemiche. I benpensanti accusarono l’autore di essere volgare e
immorale, specie con riferimento all’ambiguo dialogo tra Arnolfo e
Agnese al second’atto, ed ancor più per le “Massime del matrimonio”,
assimilate ad una presa in giro delle “prediche” o a parodia dei
Comandamenti. L’annosa “querelle”, mitigata solo in parte dal favore del
Re, investì pesantemente anche la vita privata del commediografo, per i
facili riferimenti al tormentato rapporto che lo legava alla giovane
moglie Armande. Sciaccaluga sottolinea:”Certo la commedia parla di corna
e contrasto generazionale, e innumerevoli sono le occasioni per ridere,
ma in Molière la risata è la chiave per scoprire tante verità. La trama
può essere raccontata come il contrasto tra il sogno totalitario di
Arnolfo e la libertà individuale che si concretizza, a loro insaputa,
nell’amore che nasce naturalmente tra Agnese e Orazio”. Sciaccaluga
sposta l’ambientazione dal Seicento al primo Novecento. «Molière propone
una piccola storia privata di provincia, attraverso la quale però sa far
nascere l’immagine di un’umanità e di una società senza tempo, dove si
alimenta l’illusione che catechismi, regolamenti, ideologie possano
piegare la natura al loro programmatico volere. Ci è sembrato di leggere
in ciò il rinvio a una realtà piccolo borghese. Con gli scenografi
abbiamo fatto diversi tentativi, guardando agli ultimi due secoli prima
di fissarci in quell’epoca specifica, non per precise ragioni critiche
ma per una serie di suggestioni culturali, che in me hanno riguardato
soprattutto certo cinema francese, in primo piano Chabrol, che forse
meglio di ogni altro ha saputo dare spessore universale all’evocazione
di un affresco provinciale. Una scelta che esalta la forza deflagrante
del testo. Ciò che veramente mi interessava è raccontare quella storia
che Molière confina in un microcosmo avendo però la capacità di farlo
esplodere, in modo da investire la realtà contemporanea, come spero
possa accadere alla nostra scatola scenica, che rinvia a un universo in
cui si sente il profumo di baguette e il suono della fisarmonica, ma
anche a piccole cose di cattivo gusto, a segreti nascosti, a orchi in
agguato, che cercano invano di condizionare lo sbocciare della natura”.
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CATANIA
- Renzo e Lucia: solidarietà, “I Promessi Sposi
Amore e Provvidenza”ritorno al
Metropolitan a grande richiesta. I botteghini sono
stati presi “d’assalto”, in tre anni di repliche, fiumi
di applausi e standing ovation finale ad ogni messa in
scena per la commedia musicale “I Promessi Sposi -
Amore e Provvidenza”, premiata nel 2017
dall’Accademia di Belle Arti di Catania come spettacolo
dell’anno, che a grande richiesta ritorna in scena il
9 marzo, ore 21.00, e il 10 marzo, ore 17.30, sul palco
del Teatro Metropolitan, per una produzione Poetica
Eventi. Oltre 16000 gli spettatori che si sono
emozionati ed hanno applaudito la pièce più amata da
critica e pubblico degli ultimi anni. Regia
insuperabile di Alessandro Incognito, affiancato
dalla regia associata di Gisella Calì, con la
direzione musicale di Lilla Costarelli e le
coreografie di Erika Spagnolo, che ha saputo
raccontare il dramma contemporaneo dei personaggi
delineati dal Manzoni con un linguaggio moderno e dal
forte impatto emotivo, fino al punto di essere
paragonata ad una piccola Broadway sotto il vulcano,
per la dirompente vitalità e bravura dei 34 artisti
presenti sul palco. Alessandro Incognito il quale nella
scena interpreta Renzo Tramaglino ha dichiarato:
“Eravamo consapevoli di avere tra le mani un diamante
prezioso, ma il risultato ottenuto fino ad oggi va al
di là di ogni nostra aspettativa, siamo stati
letteralmente travolti dal caloroso affetto del pubblico
che ha premiato il nostro impegno assistendo allo
spettacolo anche più volte”. Veterani del nostro teatro
si sono uniti Per raccontare l’eterna storia d’amore tra
Renzo e Lucia, croce e delizia degli studenti
italiani di ogni generazione: Emanuele Puglia,
(Innominato), Nicola Costa, (Griso), Giuseppe Bisicchia,
(Cardinale Borromeo), Franco Colaiemma, (Don Abbondio),
Alice Ferlito, (Agnese), e Ketty Governali, (Perpetua) e
giovani talentuose promesse come Maria Cristina Litrico,
(Lucia) Carmelo Gerbaro, (Don Rodrigo), Grace Previti,
(Monaca di Monza), Antonella Leotta, (la madre di
Cecilia), Bruno Gatto, (Egidio) e lo stesso Alessandro
Incognito nel doppio ruolo di regista a protagonista.
Tutti loro insieme ad un ensemble di 20 elementi, tra
ballerini e cantanti. La scena, con le spettacolari
coreografie, i raffinati costumi realizzati da Rosy
Bellomia, le imponenti scenografie mobili di Gaetano
Tropea e il video mapping di Riccardo Guttà, fa rivivere
in chiave ancora più immaginifica ed a volte,
volutamente surreale, grottesca e fortemente passionale
il romanzo di Alessandro Manzoni. Alessandro Incognito
il quale da anni si occupa della gestione artistica e
manageriale del Teatro Ambasciatori e Gisella Calì
all’unisono commentano : “Ogni singolo dettaglio e
movimento dei personaggi sulla scena è volutamente
ragionato per suscitare nel pubblico quell’impatto
emotivo che difficilmente si può dimenticare. Dietro
ogni singola rappresentazione, ogni volta che si alza il
sipario cerchiamo sempre di trasmettere con tanto amore
e umiltà quell’entusiasmo e quella voglia di fare che ha
reso unico il nostro spettacolo”. Le repliche al teatro
Metropolitan sono strettamente collegate all’iniziativa
sociale di devolvere parte dell’incasso dello spettacolo
a favore di alcune associazioni Onlus che si occupano di
assistenza, volontariato e ricerca nel territorio della
città. Alessandro Incognito aggiunge : “Sono convinto
che il teatro sia uno strumento di aggregazione sociale,
per questo l’intera produzione ha deciso di contribuire
all’attività di Fondazione Telethon, OIPA Italia Onlus,
COPE Cooperazione Paesi Emergenti, Con tutto il cuore
Onlus, AIMA Catania, ASA Onlus, APC Azione Parkinson
Catania, Respirare Onlus, Anemos Life Onlus, Stella
Danzante Onlus, GVI Gruppo Volontari Italia”.
L’ambizioso spettacolo “I Promessi Sposi Amore e
Provvidenza” è l’esempio che, nonostante la crisi e le
difficoltà economiche, in Sicilia il teatro ha ancora
molto da offrire, dimostrando che il pubblico ha
solamente bisogno di essere stimolato e incuriosito
dalla bellezza di quel gioco magico che è il
palcoscenico.Scheda Tecnica Attori e Ruoli
Giuseppe
Bisicchia CRISTOFORO/BORROMEO,
Franco
Colaiemma DON
ABBONDIO,
Nicola Costa GRISO,
Carmelo
Gerbaro DON
RODRIGO, Governali Ketty PERPETUA,
Alessandro
Incognito RENZO,
Antonella
Leotta MADRE DI
CECILIA,
Maria CristinaLitrico LUCIA,
AliceFerlito AGNESE,
Grace Previti GERTRUDE,
Emanuele
Puglia INNOMINATO,
Cosimo
Coltraro AZZECCA-GARBUGLI,
BrunoGatto EGIDIO, Ensemble
Licia
Bisicchia BALLERINA,
Giorgio
Cantone
CANTANTE,
Alessandro
Caramma CANTANTE,
Noemi
Carpinato CANTANTE,
Gabriella
Caruso BALLERINA,
Lorenzo
Cristofaro
CANTANTE,
AlbaDonsì CANTANTE,
Ambra Ferrara CANTANTE,
MariaFiamingo
CANTANTE,
Andrea Grasso CANTANTE,
Francesco La Macchia BALLERINO,
Veronica
Monforte CANTANTE,
Fausto
Monteforte BALLERINO,
Arianna
Occhipinti
BALLERINA,
Antonio
Pisasale BALLERINO,
Vincenzo
Privitera BALLERINO,
Aurelio
Rapisarda CANTANTE,
Agata
Rosignoli BALLERINA,
Marta Stimoli
CANTANTE, Regia
Alessandro Incognito, Regia associata Gisella
Calì, Direzione Musicale Lilla Costarelli,
Coreografie Erika Spagnolo, Assistente alla
Regia/Direttore di scena Daniele Virzì, Ufficio
Stampa Elisa Guccione, Costumi Rosy Bellomia,
Sarta di scena Shirley Campisi, Scenografie
Gaetano Tropea, Light Design Gisella Calì
– Lorenzo Tropea, Direzione allestimento Massimo
Savoia, Video Mapping Riccardo Guttà, Make
up Vanità Arte della Bellezza, Parrucco Alfredo
Danese, Responsabile di sala Barbara Pavone,
Service Audio/Luci Coco Service.
CATANIA– “La creatura del desiderio” è al MUST.
Il testo di Andrea Camilleri e Giuseppe
Dipasquale interpretati da
David Coco(ascolta
intervista) e
Valeria Contadino(ascolta
intervista) è in scena il 28 febbraio alle
ore 21.00, al Teatro MUST Musco. Il successo di
pubblico e di critica ottenuto già lo scorso novembre,
ritorna sul palcoscenico del Must Musco Teatro, in una
replica straordinaria con “La creatura del desiderio”,
e regia di Giuseppe Dipasquale. La storia di Oskar
Kokoschka e Alma Mahler è travolgente. La penna di
Andrea Camilleri e Giuseppe Dipasquale, ormai
consolidati nel loro sodalizio drammaturgico per la
prima volta in Italia hanno portato in scena lo
spettacolo teatrale. David Coco e Valeria Contadino
volti noti al pubblico nazionale vestono i panni dei
protagonisti. La regia è firmata dallo stesso Dipasquale,
le scene ed i costumi sono di Erminia Palmieri, le
Musiche sono curate da Matteo Musumeci, i Movimenti
scenici sono stati affidati a Donatella Capraro.
Leonardo Marino ed Antonella Scornavacca completano il
cast.La
giovane vedova di Mahler, considerata la più bella
ragazza di Vienna ed allora poco più che trentenne,
1912, un anno dopo la morte del marito, incontra il
pittore Oskar Kokoschka. I due iniziano una storia
d’amore fatta di eros e sensualità, che sfocerà ben
presto in una passione tanto sfrenata quanto tumultuosa.
Viaggi, fughe, lettere, gelosie e possessività
scandiscono i successivi due anni, durante i quali
l'artista crea alcune fra le sue opere più importanti,
su tutte La sposa del vento. La giovane ed irrequieta
Alma interrompe brutalmente la relazione. Oskar
Kokoschka successivamente parte per la guerra con la
morte nel cuore. L’innamorato al suo rientro in patria,
traumatizzato dal conflitto ed ancora ossessionato
dall'amore perduto, decide di farsi confezionare una
bambola al naturale con le fattezze dell'amata. Questa è
la vicenda. “La
creatura del desiderio” è di questa storia una versione
in cui Andrea Camilleri nell’omonimo testo pubblicato da
Skira, in modo del tutto originale, come sempre, ed
umanamente sensibile, racconta di Kokoschka ed Alma
Mahler. Lo scrittore evidenzia sensibilità diverse,
eppur concorrenti, che hanno temprato il Novecento
europeo. Questo racconto rappresenta un'indagine
sull'ossessione d'amore costruita sulla finzione umana,
e l'occasione teatrale darà certo lo spunto a
conversazioni non casuali sulla civiltà che si sta
sviluppando in Europa e la cui prima radice non è stata
finora tratteggiata con serenità distaccata. Il regista
Giuseppe Dipasquale
dice : “Il tema è molto attuale per la vicenda che io
ed Andrea Camilleri abbiamo voluto raccontare in questa
pièce: l'ossessione d'amore per una donna oggetto che si
reifica in una bambola fino a portare alla pazzia il
personaggio di Oskar Kokoschka, realmente vissuto come
quello di Alma Mahler. Questa vicenda emblematica
costituisce oggi nella misura del paradosso una delle
più raffinate e crudeli violenze sulle donne”.Lo
spettacolo replicherà sabato 2 marzo a Siracusa nel
riaperto Teatro Comunale. La programmazione lunga sette
mesi dedicata alla prosa del Must proseguirà il 12
marzo con “A tavola da Eduardo”, in scena due grandi
nomi del teatro italiano come Mariano Rigillo e
Anna Teresa Rossini; il 13 e 14 aprile “Carta
Straccia”, con Pino Strabioli e Sabrina
Knaflitz; il 18 e 19 maggio “Aggregazioni” scritto e
diretto da Claudio “Greg” Gregori. Mimmo
Mignemi e Valeria Contadino concluderanno sul palco con
“Amleto in trattoria”. Per
informazioni sulla campagna abbonamenti: MusT - MUSCO
TEATRO Via Umberto 312, Catania - Tel. 0952289426.
CATANIA- Must Teatro Musco regala viaggio tra letteratura,
cibo, musica e burlesque. Valeria
CONTADINO
(ascolta
intervista)attrice e direttore del Musco ha voluto coniugare
magistralmente l’esperimento, ben riuscito, con la
rassegna “Mangiare non solo come appagare la sensazione
di fame ma anche convivio - nel senso latino del termine
- piacere, consolazione, rifugio”. Edoardo Siravoe
Rose
Selavy
BURLESQUE
(ascolta
intervista)ed Alberto Asero VIBRAFONO,
sabato 19 e domenica 20 gennaioanimano la serata
Food, la sezione della rassegna Must
che ha sposato due elementi del piacere: la vista ed il
gusto. Lo spettacolo è strutturato con una
programmazione improntata sulla combinazione di teatro,
nelle sue varie forme dalla prosa alla musica con la
degustazione di prodotti enogastronomici. Significar
Mangiando in scena sabato 19 gennaio, alle ore 21
e domenica 20, alle ore 17,30 al Must Musco Teatro
svela
:
“Che gusto hanno le parole? Come le preferiamo? Dolci o
amare? Condite o schiette?” Il “viaggio” associa al
gioco teatrale quello della cucina della danza sensuale
alla musica. Il pubblico durante allo spettacolo associa
la degustazione food-concept. L’aggregazione
culturalgastronomico sotto il segno della creatività si
colloca come appuntamento nuovo nel panorama degli
eventi culturali nella città di Catania. Il problema
del cibo è sempre stato tra i principali dell'uomo fin
dall'antichità, tanto che molti autori hanno cercato una
sintesi fra parole e sapori. I grandi classici della
letteratura da Omero a Shakespeare hanno scritto opere
intrise di momenti conviviali, di ricette, di cibo per
vedere il cibo anche con la vita. Edoardo Siravo
(ascolta
intervista ) racconta attraverso la voce di vari autori della
letteratura mondiale il senso del cibo nella vita e
nell’arte. La star del burlesque Rose Selavy ed il
vibrafonista jazz Alberto Asero accompagnano il
mattatore Trimalchione. Gli artisti cavalcano con
arguzia e ironia, divertimento ed evocazione le cucine
letterarie dei più intriganti autori che si sono
occupati di cibo nelle loro opere.Da Achille Campanile
che in "Le seppie con i piselli" tra il divertente e
lirico ci ragguaglia dell’alchimia del mare e della
terra e descrive quest’accoppiamento come, “i loro
destini siano legati ”. In “La cura dell’uva” Campanile
discute la scoperta e benefici dei fichi col prosciutto
o il melone col prosciutto in modo comico. Ad esempio,
quando parla di benefici per la salute di mangiare
quest’accoppiamento, dice: “Volete paragonare
un’iniezione di antidolorifico a un piatto di melone e
prosciutto?” La cavalcata letterario culinaria continua
con le pagine ben note di Tomasi di Lampedusa ne "Il
Gattopardo" e la ricetta timballo di maccheroni la sera
in cui nella grande sala del ballo entrò Angelica con la
sua bellezza italiana, con la sua fisicità prorompente
poco raffinata ma assai conturbante. Il nipote del
principe, Tancredi, si innamora di lei; il principe la
osserva rapito dalla sua spontaneità e dalla sua
bellezza. La serata, inizia con le candele che
illuminano la tavola sontuosa, entra il timballo di
maccheroni che l'autore così magistralmente descrive:
"L'oro brunito dell'involucro, la fraganza di
zucchero e di cannella che ne emanava, non era che il
preludio della sensazione di delizia che si sprigionava
dall'interno quando il coltello squarciava la crosta: ne
erompeva dapprima un fumo carico di aromi e si
scorgevano poi i fegatini di pollo, le ovette dure, le
sfilettature di prosciutto, di pollo e di tartufi nella
massa untuosa, caldissima dei maccheroni corti, cui
l'estratto di carne conferiva un prezioso color
camoscio." Non manca la lirica di Gozzano che nella
poesia “Le golose”, ha le idee chiare quando descrive le
donne. È il nostro vero poeta-amante, quello da cui
imparare con che sguardo guardare le donne e
avvicinarsi. Con le sue amanti è sempre di enorme
complicità, non le usa, le ammira, le rimpiange, è un
modello di seduzione e di contemplazione legato anche al
cibo e alla “gola”. Questa, che è forse la sua poesia
più paradossale sulle donne, dà al giovane in cerca di
modelli un buon modo di intendere la bellezza. le
incursioni in Poesia con il Trilussa de " La
statistica" , e quelle nella musica con le ricette di
Gioacchino Rossini dilettano sempre l’uditorio attento.
Per informazioni:MusT - MUSCO TEATRO Via Umberto 312, Catania -
Tel. 0952289426.
CATANIA
-
Prampolini libreria storica etnea rilevata da Angelica e
Maria Carmela Sciacca:salvata.
Un sobrio incontro tra amanti di libri, cultura nei
locali di via Vittorio Emanuele 333 ha suggellato il
passaggio delle consegne dal precedente gestore alle
sorelle
Angelica e Maria Carmela Sciacca
nella gestione
della prestigiosa libreria fondata a
Catania nel 1894 e che ha compiuto 124 anni. La nota e
storica catanese Prampolini possiede oggi libri
introvabili, fuori catalogo, da collezione, antichi, con
stampe, prime edizioni.
PRAMPOLINI la storia
:la
Libreria Prampolini fu fondata dall’ufficiale di
cavalleria Giuseppe Prampolini il 13 dicembre 1894 a
Catania, nei locali di via Vittorio Emanuele 333 che
tuttora l’ospitano. L’azienda fu denominata agli
inizi “Tirelli”, poiché al tempo non poteva portare il
nome di un ufficiale. Giuseppe Prampolini
proveniva da un’illustre famiglia emiliana: Camillo
Prampolini(1859-1930), era amico di Filippo Turati e
Giacomo Matteotti, è stato una delle figure più
luminose del socialismo italiano; Enrico Prampolini(1894-1956),
pittore e scenografo, è considerato come il più
autorevole rappresentante del futurismo. Il giovane
RomeoPrampolini, seguì in successione il
padre Giuseppe nella gestione della libreria di
famiglia, divenendo testimone della vivace vita
intellettuale di Catania, alimentata dalla straordinaria
fioritura letteraria di fine Ottocento e inizi del
Novecento: Verga, Capuana e De Roberto, tra i nomi più
celebri. I personaggi elevatissima statura culturale e
morale furono ospitati nei locali della Prampolini,
dando vita a una sorta di cenacolo letterario. Romeo
Prampolini valutando il momento favorevole volle
ampliare l’attività della libreria, trasformandola anche
in società editrice. L’intuito dell’editore Romeo
Prampolini permise la pubblicazione in 5
volumi(1933-1939) della monumentale “Storia dei
Musulmani di Sicilia” di Michele Amari, opera
fondamentale nella storiografia moderna, per la quale si
avvalse della revisione del celebre arabista Alfonso
Nalino. Molte le opere letterarie edite da Prampolini
tra cui le “Cinquanta lettere d’amore alla signorina
Dolly Ferretti(1928)” dell’eccentrico poeta futurista
Antonio Bruno(Biancavilla 1891-Catania 1932), fondatore
della rivista “Pickwick”, il quale aveva tappezzato i
muri della città con i versi di un poema dedicato alla
stessa Ferretti(Fedora Novelli).
Le difficoltà economiche successive
alla seconda guerra mondiale costrinsero molti editori a
chiudere o modificare la loro attività. La Prampolini
nonostante fosse colpita dalla crisi e costretta a
rallentare la pubblicazione di libri, non cessò
tuttavia di restare al centro della vita culturale
catanese, con la presenza di notissimi osservatori della
società contemporanea tra cui Vitaliano Brancati e
Giuseppe Villaroel. La morte di Romeo Prampolini
(1974), senza figli ed eredi naturali, segnò una lunga
cesura nell’attività della libreria. L’attività per
vent’anni rimase chiusa con delle sporadiche aperture
mattutine. L’editore Boemi riaprì nel 1994 la storica
libreria di Catania che nel 2005 fu rilevata da una
società costituita da amici (professionisti, docenti e
imprenditori) ed avente come finalità quella di salvare
e rinnovare il prestigio culturale della Prampolini. La
PRAMPOLINI LIBRI s.r.l., è subentrata nel maggio 2014,
a seguito di difficoltà economiche, ed è sostenuta da
professionisti di varia estrazione, accomunati tutti dal
desiderio di salvaguardare l’illustre tradizione della
LIBRERIA PRAMPOLINI, innestandovi nel contempo moderne
dinamiche culturali. La Libreria Prampolini nel 2007
libri Iscritta nel Registro delle Eredità Immateriali
dalla Soprintendenza ai Beni Culturali offre,
attualmente testi antichi e rari, prime edizioni del
Novecento italiano, edizioni musicali, piccola e media
editoria selezionata. Esperti bibliografi capaci di
offrire un servizio di stima, valutazione e restauro di
singoli volumi o di fondi librari, nonché della ricerca
di testi di difficile reperibilità prestano consulenza
presso la prestigiosa libreria catanese. La Libreria
Prampolini svolge anche attività di antiquariato che si
estende al settore musicologico, con riferimento a
commercializzazione di apparecchi radio, giradischi e
dischi d’epoca. L’organizzazione tra i suoi compiti
ospita e predispone mostre che favoriscano la
circolazione di opere (quadri, sculture) di artisti
nuovi o già noti tra il pubblico cittadino. Una
suggestiva saletta nella sede della Libreria, è stata
destinata ad incontri culturali, presentazioni di libri,
eventi musicali o cineforum. Un circolo di lettura è
attivo da anni per discutere nel suo ambito la
letteratura più significativa intorno a tematiche di
volta in volta prescelte. Gli organizzatori sono
aperti sempre a nuove proposte, si augurano che la
varietà delle iniziative già promosse possa aiutare gli
studiosi, i bibliofili e, più in generale, gli
“intellettualmente curiosi” attuali a mantenere un saldo
filo con la tradizione, guardando anche alle frontiere
della cultura moderna.
CATANIA -
Applausi per James Gray e Shu-May Weng a Musica Antiqua
Festival: SìBarÓ Orchestra barocca siciliana.
L’appuntamento di novembre del Catania Musica Antiqua
Festival è stato sabato 24 alleore 20.30
nella Chiesa Valdese di via Naumacia 18, nei pressi del Castello Ursino.
Alla
riuscita della serata ha certamente contribuito anche il
contesto architettonico: ottima l’acustica ed eccellente
l’Aula, un ambiente raccolto con 200 posti a sedere, in
buona parte occupati da chi ama l’universo pressoché
sconfinato della musica barocca inglese, meglio se
eseguito con strumenti musicali d’epoca o con copie che
riproducono perfettamente la prassi esecutiva. Il
programma prevedeva autori prevalentemente inglesi
con la Suite Abdelazer di Henry Purcell, la Sinfonia n.
1 di William Boyce
(nella foto), Dry those Eyes di John Weldon, l’ouverture
dall’opera Rodrigo di Georg Friedrich Händel e l’Aria
tratta dalla Suite n. 3 in Re maggiore di Johann
Sebastian Bach.
L’Orchestra da camera SìBarÓ ospita come maestro
concertatore il clavicembalista James Gray musicista
formato alla Royal Academy of Music di Londra e
all'Accademia delle Belle Arti a Praga. Gray ha inoltre
studiato ed effettuato ricerche al Centro Studi
Rinascimento Musicale di Firenze, città dove ha
ricoperto il ruolo di organista e maestro di cappella
presso la Basilica di Santo Spirito, la Chiesa di Santa
Felicita e alla Congregazione dell’Oratorio dei
Filippini nella Chiesa di San Firenze. La mezzosoprano
Shu-May Weng è protagonista in parte del programma.
L’ascolto ha permesso un
viaggio sonoro alla ricerca dell’English Musical
Heritage, cioè di quella cultura musicale che è
patrimonio impareggiabile e caratteristico di Londra e
dell’Inghilterra. Bravi la cantante e il maestro
concertatore. SìBarÓ
Orchestra è ricerca timbrica ed interrogativi
sull’estetica e la prassi in uso tra Seicento e
Settecento, che ha spinto gli interpreti di questo
ensemble ad una più attenta lettura del repertorio
musicale appartenente alla tradizione colta. SìBarÓ è
nato dall’incontro di musicisti formati nei più
accreditati centri di musica antica d’Europa, propone su
strumenti originali, o copie fedeli dell’epoca, un
repertorio cha va dal tardo barocco allo stile galante.
Lo spirito del barocco era un insieme di dinamismo ed
avventura, opulenza e monumentalità, ed abbraccia un
periodo che attraversa più di un secolo e mezzo di
storia. SìBarÓ è più attento al periodo tardo e si
sviluppa intorno a partiture che vedono spesso i fiati
protagonisti ed in alcuni casi l’uso di strumenti, quali
lo chalumeau, che in tempi recenti ha riconquistato
l’attenzione degli esecutori dopo quasi due secoli di
oblio.
Lampedusa –
Orrore migrazione da coste Africa a Sicilia: docufilm di Lo Piero, “La
libertà non può morire in mare”. Catanese, fondatore della Scuola di
cinema a Catania, Alfredo Lo Piero, dopo diverse esperienze
cinematografiche si è cimentato nel lungometraggio che è un vero e
proprio film di denuncia. Il docufilm non è finzione, ma solo realtà
esaltata dal direttore della fotografia Giuseppe Bennica, e dal
promettente assistente operatore, Giovanni Romolo Flaccomio. Le
immagini sono poi affidate al montatore Claudio Cutrì, premio David di
Donatello, il quale ha già lavorato al pluripremiato “La mia Africa”. I
costumi sono stati curati dallo stilista Alfonso Zappulla, mentre per le
location e gli allestimenti, l’equipe si è avvalsa dello scenografo
Mirko Miceli.Alfredo Lo Piero è tornato da due settimane di
ripresa a Lampedusa ed è molto provato. L’autore, regista e produttore
di “La libertà non può morire in mare”, il docufilm a tinte
forti sull’orrore della migrazione dalle coste africane a quelle
siciliane Lo Piero
afferma : “Ho capito che ogni centimetro che riescono a occupare sul
barcone è un centimetro di libertà, pagato non solo con denaro, tanto
denaro, ma soprattutto con sacrifici, umiliazioni, sofferenza, violenze,
paura. Sanno che rischiano la vita, molti non hanno mai visto il mare,
pochissimi sanno nuotare, ma preferiscono avere una speranza piuttosto
che convivere col terrore di saltare in area su una mina o straziati da
un machete. Quello che vediamo in televisione non è nulla rispetto alla
realtà atroce con la quale ci si confronta a Lampedusa in ogni istante:
è un’isola circondata da un mare di morte. Conosco chi non riesce più a
fare il bagno perché emotivamente ferito, altri che finito il loro turno
tolgono la divisa e tornano al largo da volontari per cercare di salvare
altre vite umane e vivono anche la scelta spesso inevitabile di dover
decidere tra tante braccia protese chi salvare subito col rischio di
condannare a morte qualcun’altro.Ho sentito storie che mi hanno
profondamente segnato: le sofferenze dei migranti sono indescrivibili,
spesso il loro viaggio dura mesi perché prima di attraversare il deserto
d’acqua devono superare quello di sabbia in condizioni di invivibilità.
E poi arrivati nei centri da dove partono barche e gommoni alcuni,
quelli delle etnie più povere, vengono torturati e uccisi per dare un
segnale a coloro che, invece, possono spendere di più per avere un posto
all’aperto, non nella stiva dove possono morire schiacciati o soffocati,
come spesso è avvenuto”. Lo Piero spiega ancora : “Siamo stati
adottati anche noi della troupe sia in mare, dal comandante della
Guardia costiera, Paolo Monaco, e dal tenente Fabio Bia della Guardia di
Finanza e a terra dal volontariato che ha in Sabina Di Malta una risorsa
inarrestabile. E grazie ai Carabinieri, al medico Pietro Bartolo, a
tutti coloro che quotidianamente dimostrano che Lampedusa è terra di
accoglienza e di generosità infinita. Un grazie di cuore alla
giornalista Gabriella Virgillito, segretaria di produzione, e
all’avvocata Antonietta Petrosino, responsabile Amnesty International di
Catania. Dopo la fase di riprese a Lampedusa, la troupe riaccenderà le
cineprese traPalermo e Catania e in centro di accoglienza dove
saranno realizzate delle interviste inedite, nel massimo rispetto della
privacy e della dignità personale dei migranti, molti dei quali
sopravissuti alle stragi in mare. Oltre 650.000 migranti sono approdati
a Lampedusa, circa 20.000 sono morti in vent’anni, tra questi 600
bambini da gennaio a ottobre di quest’anno. Gli interessi milionari di
lobby internazionali alimentano questo moderno mercato degli schiavi che
lascia una scia di sangue sempre più visibile. Gli scafisti, spesso
individuati e arrestati, pagano per tutti, ma sono solo i terminali e la
bassa manovalanza di organizzazioni efficientissime e con proventi ultra
milionari. Presto inizieremo la post produzione; la colonna sonora sarà
affidata agli affermatissimi autori e compositori Paolo Vivaldi e Matteo
Musumeci La voce narrante sarà quella splendida di Leo Gullotta. Il
docufilm sarà pronto nei primi mesi del 2017, in tempo per poter
partecipare ad alcuni concorsi internazionali e nazionali con un
obiettivo: non vincere, ma scuotere le coscienze e far vedere, senza
romanzare e filtrare nulla, cos’è realmente il dramma della migrazione”.
CATANIA
-Chiara
Taigi prima Norma a Teatro Greco Siracusa.
L’artista: “La Sicilia è una grande isola non permettiamo che diventi
una zattera”.
Chiara Taigi è una star, anzi un’antistar. Bella, bionda, celebrata in
tutto mondo, il soprano romano potrebbe darsi le “arie”, invece è una
pasionaria dell’arte, vissuta come missione, come patrimonio da
condividere con tutti, affinché diventi veicolo di crescita spirituale e
culturale. È lei la protagonista di “Norma” che il 4 luglio inaugura al
Teatro Greco di Siracusa la seconda edizione del Festival Euro
Mediterraneo. Per la prima volta il capolavoro belliniano approda nella
millenaria cavea aretusea, in un nuovo allestimento firmato da Enrico
Castiglione, regista e scenografo di fama internazionale, che ha scelto
Chiara Taigi, stella della lirica dal carnet fitto di date, che non per
questo diserta la Sicilia, come tanti artisti famosi hanno fatto in
questi tempi di crisi, ma si sente anzi isolana d’adozione, e torna ogni
volta più attratta dal richiamo di una terra magica. La incontriamo in
aeroporto dove sta per imbarcarsi per atterrare a Catania e poi
approdare nella città di Archimede.Cosa la lega tanto a quella che Goethe chiamava “la terra
dei limoni in fiore”?
“La zagara, il cielo, il mare, l’Etna, le vestigia classiche e barocche,
tutto. E sul piano personale mi sento molto ricambiata. Dalla Medea di
Cherubini alla Nedda dei Pagliacci, da Mimì in “Bohème” ad Abigaille in
“Nabucco”, ruoli da me interpretati al Teatro Antico di Taormina sotto
la direzione artistica e registica di un grande artista come Enrico
Castiglione, ho stretto con il pubblico siciliano un legame fortissimo.
Lo amo e sento che mi ama, visceralmente. Per questo se questa
meravigliosa terra chiama, io corro: non solo per grandi eventi
musicali, ma ogni volta che sento di doverci essere per solidarietà o
per una buona causa. Come per il recente “Stabat Mater” di Pergolesi a
Messina. Certo è tutto più semplice quando canto a Bregenz o Savonlinna.
Ma vincere la battaglia dell’arte e della cultura ha in Sicilia tutto un
altro significato. Se mancassi mi sentirei di venire meno ad un
imperativo interiore, morale: la Sicilia ha una grande storia di cultura
e d’arte, non si merita di stare sotto i riflettori solo per la mafia e
i profughi che sbarcano a Lampedusa. Davanti a tali calamità bisogna
sotterrare il nostro ego e darsi da fare affinché la Sicilia rifulga in
tutto il suo splendore artistico e culturale. Altrimenti l’isola rischia
di trasformarsi in una zattera alla deriva”. Dunque lei non è
scettica e crede che le vie dell’arte siano infinte e provvidenziali
…
“Certamente. Ed è proprio con questo spirito di rilancio dell’immagine
della Sicilia che mi appresto ad affrontare “Norma” nella soggiogante
cornice del Temenite, un ruolo musicalmente abbagliante e al contempo
latore di un messaggio universale, più che mai attuale: una donna, una
madre, sia pure per amore, ha tradito patria e religione, e sta per
macchiarsi di figlicidio. Ma si ferma appena in tempo e si autopunisce,
facendo giustizia immolando se stessa. E’ ciò di cui abbiamo bisogno
oggi: la capacità di guardarci dentro, fermarci in tempo e, se
necessario, espiare in prima persona”.-
Norma salva la dignità personale e quella del suo popolo. Crede che
la cultura salverà la dignità della Sicilia?
“Potrebbe e dovrebbe farlo. Bisogna assolutamente puntare sulla cultura,
l’arte, lo spettacolo. Ma le condizioni in cui versa l’isola, la
gestione sconsiderata delle risorse, dicono che così non è stato fatto.
La regione dovrebbe essere meglio collegata, attendiamo il ponte da
mezzo secolo. In tutti i campi s’impone un lavoro immenso di impegno e
dedizione. Per crescere collettivamente, c’è bisogno di attirare agli
eventi importanti, ed in primis a quelli culturali, tutti i ceti
sociali. Ed io sono ben felice di mettere al servizio della causa la mia
popolarità, acquisita anche grazie alle mie apparizioni televisive, in
particolare nella trasmissione di Paolo Limiti. Mi piace essere vicino
alla gente e mi piace che mi chiamino la “Raffaella Carrà della lirica”.
So di essere garanzia di richiamo per il pubblico e ciò mi consente di
diffondere il mio credo artistico e spirituale nella musica e nei valori
che incarna. Al fianco di Enrico Castiglione, in Sicilia, ho potuto
mettere in atto questo progetto: il nostro è un patto d’onore per la
cultura di cui sono fiera”.
Un patto che prosegue con “Norma”. Il pubblico di Siracusa avrà anche un
Pollione possente come la vocalità del tenore Piero Giuliacci,
un’affascinante Agalgisa in Alessandra Damato e un nobile basso
come José Antonio Garcianel ruolo di Oroveso; sul podio un direttore
d’orchestra ventenne ma già pluripremiato, Jacopo Sipari di Pascasseroli;
i costumi sono di Sonia Cammarata, straordinario talento che da anni
forma con Enrico Castiglione una coppia teatrale acclamata in tutto il
mondo. Ma torniamo alla nostra bellissima antidiva-
Non solo lei debutta nel ruolo, ma sarà la prima Norma ad affrontare
il palco del Teatro Greco. Come sarà la sua sacerdotessa?“Sul piano musicale e vocale, Bellini alterna
fiorettature melismatiche che fanno svettare la voce a melodie lente,
giocate sull’esasperazione dei fiati. Di ciò era ben consapevole la
Callas, il cui approccio al personaggio rimane, lo sappiamo, di una
profondità assoluta. E su questo primato rifletto ora che affronto per
la prima volta Norma: io allieva della Tebaldi, sempre carissima e
presente nei miei pensieri. E alla mia maestra dedico il mio debutto nel
ruolo che fu della sua rivale: lei sa da lassù che nessuna è seconda nel
cuore di chi la ama”.
Chiara Taigi è visibilmente commossa, e perfino più bella. È facile
immaginare la classe con cui saprà indossare gli stupendi costumi di
Norma creati da Sonia Cammarata.- Lei è molto sexy ma anche profondamente religiosa e,
appunto, spirituale …
“Le pare che le due cose siano in contraddizione? Non mi vedo
particolarmente glamour, ma in ogni caso le nostre qualità, se ne
abbiamo, sono un dono del Creatore ed abbiamo il dovere di farle
fruttare come i talenti della parabola. Lo penso sempre, non soltanto
quando canto davanti al Papa in Vaticano o mi invitano ad esibirmi per
sostenere nobili cause. Sulla scena mi piace trasformarmi di ruolo in
ruolo, ora appassionata e fragile come Mimì, ora altera e ieratica come
Norma, così solenne, inflessibile, ma umana, commovente, grandissima. La
canterò per il meraviglioso pubblico siciliano e per i tantissimi
turisti che stanno prenotando da tutto il mondo. Ho un solo messaggio
per tutti loro: Vi aspetto!”
Chiara Taigi deve raggiungere il gate. Ancora un minuto.-
Ci parli ancora del suo legame con la Trinacria…“Ne sono sedotta e abbagliata. Ho fatto qui
le mie prime audizioni a diciannove anni con un grandissimo direttore
d’orchestra come Spiros Argiris. E da allora ci son tornata sempre,
catturata dal profumo della zagara e da profonde amicizie: tra i miei
ricordi più forti, l’aver cantato ai funerali del mio caro amico e
maestro Lamberto Puggelli. Mi sento parte della Sicilia, ne condivido i
problemi e ho stima per l’altissima qualità della sua gente che merita
onestà e dedizione. Lo ribadisco non permettiamo che l’isola diventi una
zattera.”
CATANIA
-
Teatro Bellini, lavoratore tenta di darsi fuoco. Si cosparge di
benzina, salvato da colleghi. La situazione attuale al teatro Massimo
Bellini della città di Catania è al limite, incandescente e non proprio
in senso figurato. Le maestranze hanno oggi deciso di spostare dal
tetto al palco del teatro la loro occupazione, per protestare contro il
mancato rinnovo dei contratti.L'amministrazione comunale questo
pomeriggio, ha fatto sapere che alcuni lavoratori già da domani
avrebbero potuto tornare in servizio, seppure per un breve periodo,
sommandosi a quelli che sono tornati pochi giorni fa in attività. La
situazione sembrerebbe risolta dunque, ma non per tutti. quattro
lavoratore continuerebbero a restare fermi. Una realtà difficile da
accettare. Gli sfortunati, non selezionati per riprendere l’attività,
sono andati su tutte le furie ed uno è uscito dal teatro, si è procurato
della benzina e se l'è gettata addosso. Il peggio non è accaduto per
fortuna perché tutti i colleghi vicini al dipendete esasperato sono
subito intervenuti per fermarlo. Il lavoratore è stato soccorso con
l’intervento dell'ambulanza intervenuta subito, anche i carabinieri si
sono portati sul posto. Antonio Santonocito, responsabile regionale
Snalv, Sindacato Autonomo Lavoratori e Vertenze aderente alla Confsal
ha affermato : “Incredibile, solo così si può definire questa vicenda.
Non si può arrivare a tanto per un diritto acquisito, perché lo dobbiamo
sempre ricordare, si tratta di un diritto acquisito”. Le
maestranze del teatro Massimo Bellini di Catania stanche e deluse
avevano da oggi, deciso di lasciare il tetto dell'immobile per occupare
il palco del teatro, cercando di mettere in forse anche lo svolgimento
della prima di questa sera. I lavoratori, dopo 38 giorni di assedio sul
tetto dell'immobile infatti, e nonostante le ripetute promesse di
impegno da diversi esponenti della politica locale e regionale, hanno
rilevato che nulla ancora è stato fatto per risolvere la loro
problematica.
di Oriana Oliveri
Taormina –
Tosca: amore e patria in Roma papalina. Il termine repubblica
deriva dal latino res = cosa e publica = pubblica, per cui chi governa
in nome della cosa pubblica, della repubblica dovrebbe comprende bene
d’avere la responsabilità di governare l’interesse dell’intera comunità,
di una nazione. Alla prima della Tosca di Puccini, sabato 9 agosto al
Teatro Antico di Taormina in sordina è passato questo messaggio che è
di monito alla politica dei nostri giorni. Il coraggio di coloro che si
sono battuti per la patria, oggi diremo che operano per la nostra
nazione de jure, non va dimenticato, ebbene ricordarlo… La storia
descritta da Sardou e ripresa da Giacosa narra della bella Tosca, gelosa
del suo Mario che credendosi tradita cade nel tranello di Scarpia,
personaggio realmente esistito in quanto non capo della polizia
papalina, come nell’opera, ma di quella borbonica, il quale vuole prima
catturare e condannare a morte Angelotti, fuggito dalle prigioni di
Castel Sant’Angelo, e dopo lo stesso Mario Cavaradossi. Entrambi i
personaggi sono animati dalla stessa fede politica, quella della
repubblica romana filofrancese e giacobina. Il cognome Angelotti
utilizzato nella Tosca ha un’assonanza con il console della Repubblica
Romana realmente esistito Liborio Angelucci, chirurgo ed ostetrico, non
morto come nella Tosca ma fuggito in Francia in seguito all’arrivo delle
truppe borboniche a Roma. La Repubblica Romana nata nel febbraio del
1798 comprendeva parte dei territori dello Stato Pontificio, carpiti a
Pio VI ed occupati ad opera del generale francese Louis-Alexandre
Berthier. Questa ebbe fine nel 1798 quando il 28 novembre fu invasa
dall'esercito napoletano di Ferdinando IV al comando del generale
austriaco Karl von Mack appoggiato dalla flotta britannica
dell'ammiraglio Nelson. Però i francesi ribatterono con una
controffensiva che vide la ritirata delle truppe di Ferdinando IV e
l’ingresso a Napoli nel gennaio del 1799 delle truppe francesi che
istituirono ,nella città borbonica, la Repubblica Napoletana. Roma fu
abbandonata dai francesi nel dicembre del 1799 in quanto venne
nuovamente occupata dalle truppe napoletane e solo nel 1805 le truppe
francesi riconquistarono Roma per riannetterla al Regno d'Italia di
Napoleone, che la storica Jessie White considera in nuce lo Stato
unitario italiano costituitosi poi nel 1861. Ed è proprio alla conquista
della seconda campagna napoleonica d’Italia che il dramma pone la sua
attenzione, in particolare alla vittoria francese della battaglia di
Marengo del 14 giugno del 1800 a conclusione della seconda campagna
d’Italia. Per repubblica si intende la naturale evoluzione
della monarchia. Se con la monarchia chi governa detiene il potere e lo
fa per tutta la vita, nella repubblica la sovranità appartiene al popolo
che la esercita nei modi e nei limiti fissati dalle leggi vigenti. Le
prime repubbliche erano considerate le polis greche, nelle quali i
cittadini potevano eleggere o ostracizzare i propri magistrati. La
Repubblica, per gli antichi, non era altro che l'interesse per il bene
della collettività, per la polis, lo Stato. La Tosca è stata un’altra
medaglia da aggiungere al già prezioso medagliere di Enrico Castiglione
che ha dichiarato in un’intervista “ la Tosca è l’opera della mia
vita. È l’opera che mi ha fatto scoprire ed amare la lirica. E’ l'opera
che prediligo in assoluto”. Nelle vesti di Tosca una straordinaria
Elena Rossi , applauditissima, come altrettanto magnifico Francesco
Landolfi, Scarpia. Il sagrestano, Giovanni di Mare, ha saputo dare una
sua personalissima interpretazione al personaggio che ha molto divertito
il pubblico. Giancarlo Monsalve ha interpretato il pittore Cavaradossi.
L’opera diretta da Cem Mansur, fondatore e direttore della Turkish
National Youth Orchestra, verrà replicata al teatro romano di Aspendos
in Turchia, mentre a Taormina sarà replicata l’11 e il 13 Agosto. La
Turkish National Youth Orchestra, fondata dallo stesso Cem Mansur è il
primo progetto nel suo genere in Turchia , ed è formata da 100 tra i
migliori giovani musicisti tra i 16 e i 22 anni. L’orchestra attraverso
il progetto La Musica Che Unisce ha anche collaborato con i giovani
musicisti armeni formando la Turkish/Armenian Youth Orchestra , che ha
tenuto concerti a Istambul e Berlino. La Tosca è una tra le più
complesse opere di Puccini. I colpi di scena, la tensione emotiva , il
costrutto musicale, le romanze come Recondita armonia, Vissi d’arte o
Lucevan le stelle, sono note anche a coloro che non prediligono questo
genere di musica. L’espressionismo musicale tedesco trae origine
dall’enfasi e dalla drammaticità orchestrale del secondo atto, in cui lo
spregevole Scarpia mette a segno il suo ignominioso piano. La tensione
emotiva e la drammaticità vengono messe in risalto dall’orchestra che
intona un andante sostenuto inteso a caratterizzare ancor più il
crudele disegno di Scarpia. Puccini come in una grande tela ad ogni
passaggio musicale usa il cromatismo appropriato all’azione e allo
stato d’animo dei personaggi. La tessitura, il colore, la tonalità,
tutto è legato al momento di gioia intensa, al momento lirico vissuto,
al vulnus del momento drammatico. Dopo aver assistito nel 1890 a Milano
alla rappresentazione teatrale del dramma di Sardou, Puccini intuì
subito le potenzialità, anche sul piano musicale, del personaggio di
Floria Tosca . Tosca è una donna combattiva e sicura, ma davanti alle
sofferenze del suo Mario come Giuditta per il suo popolo ,cede al suo
aguzzino Oloferne, qui Scarpia, Giuditta decapitandolo, Tosca
accoltellandolo. Giustizia contro illegalità .Tosca è anche una donna di
grande temperamento e pronta a tutto, arrivando anche ad uccidere e
suicidarsi come un’eroina romantica. Il dramma teatrale fu portato in
teatro per la prima volta il 24 novembre 1887 al Théatre de la
Porte-Saint-Martin a Parigi ed ad interpretare Tosca fu la grande Sarah
Bernhardt suggellando così il successo dell’opera teatrale. L’opera
lirica invece fu rappresentata per la prima volta al Teatro Costanzi
di Roma il 14 gennaio del 1900, in un’Italia umbertina che stava ancora
valutando: gli esiti dello scandalo della Banca Romana, il quale
aveva evidenziato una forte collusione tra potere economico e potere
politico; l’acquisto della Baia di Assab da cui sarebbe partito in
seguito l'avventura coloniale nell'Africa orientale; la grande
esplosione di protesta popolare in Sicilia dopo il 1890 e che vedeva
migliaia di contadini, spinti dalla crisi che impoveriva l'economia
dell'isola,a battersi per la riforma agraria;e negli ultimi anni del
secolo l’ondata di scioperi a cui il governo rispose con una dura
repressione, il cui culmine si ebbe nel maggio del 1898 a Milano quando
il generale Bava Beccaris fece aprire il fuoco sulla folla che reclamava
pane e lavoro. Di lì a pochi mesi del debutto di Tosca ci sarebbe stato
a Monza l'attentato in cui sarebbe morto re Umberto I ad opera
dall'anarchico Gaetano Bresci, lasciando così l’Italia nelle mani del
figlio, Vittorio Emanuele III, che avrebbe portato gli italiani alla
Prima Guerra Mondiale a fianco di Gran Bretagna, Francia e Russia.
Absit iniuria verbis. Oriana Oliveri
Siracusa -
Prestigio a Teatro Greco di Siracusa. Ballerini
internazionali di 3 scuole di danza classica si sono esibite. Quella
dell'Opera di Parigi con Alessio Carbone, primo ballerino all'Opéra di
Parigi, e Lèonor Baulac, la Wiener Staatsoper con Maria Yakovleva e
Richard Szabo, l'Hamburg Ballet con Silvia Azzoni e Sasha Ryabko. I
ballerini hanno eseguito coreografie realizzate da maestri che hanno
scritto la storia del balletto classico. Il leggendario Marius Petipa ,maestro
di danza francese e poi maestro del Balletto Imperiale di San
Pietroburgo, il rivoluzionario Maurice Bejart fondatore nel 1922
a Losanna della Scuola - atelier Rudra, , una delle scuole più
prestigiose in Europa, John Neumeier il quale entrando nel 1973 alla
direzione dell'Hamburg Ballet l’ha diversificata da tutte le altre
grandi compagnie europee, sino a Benjamin Millepied ballerino e
coreografo di fama internazionale e direttore del ballo all'Opera di
Parigi. Alessio Carbone con Lèonor Baulac si sono esibiti prima in Tre
Preludi sulle coreografie di Ben Stevenson e musica di Sergei
Rachmaninov, dopo nel pas de deux del Daphnis e Chloè, nella rilettura
coreografica di Benjamin Millepied e sulle note di Maurice Ravel. I due
ballerini hanno creato un’ emozionale empatia con il pubblico
,appassionandolo grazie ad un repertorio che ha messo in luce la
versatilità, l’eccezionale tecnica e le personalità uniche dei due
ballerini. Il Ballet de l’Opéra National de Paris affonda infatti le sue
radici in più di tre secoli di storia e si è sempre affermato come una
compagnia di repertorio e non come lo strumento di un solo coreografo.
Ma è stato toccato l’apice quando Alessio Carbone si è esibito in Arepo,
una vigorosa coreografia di Maurice Bejart sulla musica di Hugues Le
Barsi. Alessio Carbone, di origini siciliane, è figlio d’arte, infatti
il padre è il pluripremiato danzatore e coreografo messinese Giuseppe
Carbone, a lungo direttore del Corpo di ballo del Teatro alla Scala di
Milano.La bravura dei danzatori e la loro estrema precisione in ogni
passo, nel volteggio, nel salto e presa ha dimostrato al pubblico quanto
la fama di questa scuola sia davvero intramontabile. Per la
WienerStaatsoper sul palco hanno danzato Maria Yakovleva e Richard Szabo
che hanno scelto come primo pezzo il pas de deux del”L’uccello azzurro”,
notissima variazione tratta dal balletto La bella addormentata, ma
riletta nella coreografia di Rudolph Nureyev, che per lunghi anni è
stato direttore della compagnia parigina, che ne ha raccolto e perpetua
la preziosa eredità. Il sommo danzatore russo infatti ha lasciato una
sua rigorosa eppur innovativa ricostruzione del balletto musicato da
Cajkovskij come di altri balletti classici. Nureyev ha danzato anche a
Siracusa ed è stato ricordato dalla città a nove anni dalla sua morte
in una mostra monografica inaugurata nella città aretusea nel 2011.
Maria Yakovleva e Richard Szabo hanno eseguito anche un altro
celeberrimo passo a due, tratto dal balletto “il lago dei cigni “ ovvero
“La morte del cigno”, cavallo di battaglia delle più grandi ballerine,
con coreografia di Marius Petipa sulle musiche di Èajkovskij.
Travolgente il Piazzolla di Libertango. E’ stato tradotto in un sensuale
pas de deux . I ballerini hanno danzato con movimenti fluidi ed
estremamente intimi, trasmettendo le loro emozioni sul palco,
muovendosi al suo interno e colloquiando con i propri corpi, l’un con
l’altra . Dotati di una solida compostezza tecnica e di espressività
sensazionale, sono riusciti a danzare coinvolgendo il pubblico e
trasmettendo a ogni spettatore ogni più piccolo movimento del loro
corpo. Infine, la coppia Silvia Azzoni e Sasha Ryabko hanno
rappresentato il meglio del repertorio espresso dall’Hamburg Ballet,
attraverso il suo direttore più carismatico, il coreografo John Neumeier.
Un pas de deux nella coreografia della Terza Sinfonia di Gustav Mahler.
Con rond de jambe en l'air, fouettés en tournant, grand jeté, pirouette,
tutti i ballerini hanno strappato al pubblico lunghi applausi e bravi
meritatissimi. Ognuno è stato diverso per caratteristiche tecniche ed
espressive, ognuno capace di trasmettere al pubblico sentimenti profondi
che spaziano dalla spensierata allegria, all’angoscia fino alla più
intima sensualità. Delicata ed elegante, Silvia Azzoni, ha danzato sulle
punte con una grazia fuori dal comune. Tra gli uomini, degne di nota
l’agilità di Alessio Carbone e la forza fisica ed espressiva Richard
Szabo. La danza ha conquistato con il suo linguaggio antico ed
universale. Fra i tanti linguaggi, in forma diretta o indiretta, che
l'uomo utilizza per esprimersi e per comunicare, la danza e la musica
occupano insieme alla pittura un posto di fondamentale importanza.
Giovanni Calendoli nella Storia universale della danza,ritiene che la
storia della danza è la storia del linguaggio del corpo e dell'impiego
che l'uomo ne ha fatto nelle varie epoche, assegnandogli di volta in
volta funzioni e collocazioni diverse nella struttura sociale. I
movimenti del corpo, quando sono finalizzati ad esprimere contenuti,
rappresentano un codice importante per la comprensione del retroterra
culturale e spirituale che li sottende. La danza accompagna l’uomo sin
dalla sua nascita e costituiscono il suo primordiale linguaggio per
comunicare e testimoniare il suo sentire più profondo. I graffiti di
Monte Pellegrino sono esempi di danze propiziatorie eseguite dall’uomo
nel periodo del paleolitico superiore . Lo strumento della danza è il
corpo umano, dunque esso presuppone la centralità del corpo come
elemento caratterizzante del linguaggio coreutico. Oltre al concetto di
danza classica come possiamo intenderlo noi occidentali basti
ricordare il concetto di danza nel teatro del Nô o ancora alle movenze
della ballerina nipponica Saburo Teshigawar la cui qualità di
movimento è caratterizzata da una straordinaria capacità di modificare
lo stato della materia del proprio corpo,un esempio ne è Obsession,
passando da momenti di estatica sospensione, che dilatano il tempo e
portano dentro di sé l'essenza del Giappone, per poi passare ad una
sorprendente rapidità, grazie ad un corpo capace di accelerazioni
stupefacenti, capace di struggersi, sospendersi, sollevarsi e diventare
quasi evanescente, per poi vibrare, disegnare traiettorie di luce,
sussultare sprizzante di energia vitale, leggero come un colibrì ma
forte, tenace e intenso, con la stessa antica saggezza degli alberi
secolari. Per i Greci la danza costituiva una delle attività più
importanti per l’armonioso sviluppo dell’individuo e per la coesione
dell’intera società. Per essi il danzare comprendeva molti diversi tipi
di attività basate su movimenti ritmicamente ordinati: l’addestramento
militare, la lotta, la ginnastica, il gioco ritmico con la palla , i
giochi infantili, le processioni, la recitazione gestuale dell’attore, i
movimenti o nei gesti compiuti nei riti. L’iconografia , la mostra le
baccanti impegnate nella danza con l’abbigliamento in disordine. La
Menade danzante di Skopas eseguita tra il 335 e il 330 a.c. , nella
copia romana di Dresda , è stata eseguita con la testa e le braccia
rovesciate all’indietro, la schiena e il busto flessi e in torsione, i
capelli scarmigliati. In alcuni vasi invece queste vengono descritte
con mani che impugnano sonagli, le gambe divaricate, oppure accucciate a
terra con una gamba protesa in avanti. Molti filosofi dell’antica Grecia
si sono interessati alla danza: Platone parla della danza nelle Leggi e
ne “la Repubblica” (IV sec. a.C.) e ritiene che la danza abbia origine
dal desiderio spontaneo del corpo dei giovani di muoversi. Questo
istinto è tipico anche degli animali, ma solo nell’uomo assume una forma
ordinata e consapevole, grazie al ritmo e all’armonia. A Roma nacque la
“pantomima”: un solo attore-danzatore mimava una vicenda ricavata dai
temi della tragedia greca; tramite la recitazione gestuale. Ben presto
tale ballo degenerò, divenendo sempre più volgare e deliberatamente
erotico. Contro i danzatori e pantomimi si scagliò ben presto la Chiesa
cristiana; nonostante tutto, la danza, la musica, la pantomima
proseguirono il loro, anche se lento, cammino. A partire dal III-IV sec.
d.C. la Chiesa, alla ricerca di una maggiore autorità e nel tentativo di
arginare la pluralità dei culti e di riti che si erano sviluppati
nell’ambito della comunità cristiane, cominciò a considerare inadatta la
presenza della danza nei luoghi sacri. Ciò non significa che durante il
Medioevo non si ballasse, o che la danza non rivestisse un ruolo e una
funzione rilevante . Ma è nel Rinascimento che in Italia, dai balli di
corte nasce la danza classica. Il genere venne ripreso dalle corti
francesi, che lo svilupparono e lo portarono alla massima espressione
durante il XVII-XVIII secolo. Fu in questo periodo che lavorò il
coreografo Beuchamp, considerato il creatore delle posizioni classiche.
All'inizio tutti i danzatori erano uomini; la prima donna a ballare salì
sul palcoscenico nel 1681. I danzatori del XVIII secolo erano coperti da
maschere, indossavano grosse parrucche e scarpe col tacco; le donne,
gonne larghe e lunghe con stretti corpetti. Verso la fine del '700 si
iniziò ad andare sulle punte e nel 1828 vennero inserite nei balletti le
prese. Nel 1952 le grandi compagnie russe cominciarono ad esibirsi in
Occidente: l'intenso spirito drammatico e il grande virtuosismo tecnico,
ebbero un fortissimo impatto sul pubblico. Ma è a partire dagli anni '60
che molti balletti classici cominciarono ad essere accompagnati da
musica Jazz o Rock 'n Roll. Questa trasformazione diede 'impulso allo
sviluppo della danza moderna. Oriana Oliveri
Siracusa
– Aida illumina Teatro Greco SR: tra papiri Anapo di scena Egitto.
Come un lucente streptòs , adagiato al collo di una dèsfoina greca ,
così la scenografia di Aida si adagia luminosa di ori e smalti nello
spazio dell'orchestra dell'antico teatro di Siracusa. Cornice suggestiva
per un'opera che lo stesso Verdi dal ritorno di una crociera sul Nilo
deputò quale topos ideale per la sua opera. La prima dell'Aida
nell'antico Teatro Greco di Siracusa ha ammaliato tutti gli spettatori,
venuti numerosissimi da ogni luogo, grazie alle campagne pubblicitarie
ma anche ai vettori che si sono impegnati con campagne promozionali a
sottolineare l'importanza dell'evento. Lo aveva sottolineato lo stesso
il sindaco di Siracusa, Giancarlo Garrozzo, che nella conferenza stampa
tenutasi giovedì 10 luglio a Palazzo Vermexio, ha affermato che “questa
per Siracusa è l'occasione di una vetrina internazionale, con un
programma di spettacoli lirici , di danza e di musica ad altissimo
livello”. Ma ciò che rende Aida un evento unico è il non aver attinto a
fondi pubblici e l'aver scommesso sul coinvolgimento e la volontà di
investimenti privati. La Fondazione dell'Euro Festival del Mediterraneo
si è avvalsa della collaborazione dell'Inda,del Teatro Massimo Bellini
di Catania, del Coro Lirico Siciliano, istruito da Francesco Costa una
delle migliori realtà liriche italiane e della Sicilia e della rinomata
orchestra del Teatro Massimo Bellini di Catania, diretta per l'occasione
dal maestro Gianluca Martinenghi. Non è stato facile mettere in moto 7
tir di 12 metri ciascuno , dirigere 250 comparse, sovrintendere
all'immenso apparato che ruotava attorno alla manifestazione,
coordinare la ricettività alberghiera. Sono state coinvolte linee di
pullman turistici pronte a dirottare le loro destinazioni su Siracusa
ed organizzato 10 bus navetta che da Catania trasportassero verso
Siracusa gli amanti del bel canto. Anche le linee aeree hanno
corroborato l'iniziativa con voli aerei facenti tappa a Catania e a
Palermo, in primo luogo Air One , la quale con campagne promozionali ha
sponsorizzato l'evento anche con sconti sui ticket d'ingresso e poi c'è
stata la collaborazione attiva degli albergatori della città aretusea.
Se c'era da fare l'impossibile , lo si è fatto. Ciò ha portato ad un
incremento turistico che ha visto anche gli alberghi a 4 e 5 stelle
lavorare a pieno ritmo. Ma ancora più interessante è stata quella
sinergia che si è venuta a creare tra il teatro antico di Taormina e
quello di Siracusa , attuando all'interno del Festival del Mediterraneo
un continuum tra la collaudata stagione teatrale taorminese e la nuova
stagione siracusana, a prosieguo del fortunato ciclo delle
rappresentazioni classiche dell'istituto del dramma antico. L'operazione
non è da poco, anzi tutt'altro , la vera sfida è quella di inserire
Siracusa nei maggiori circuiti mondiali dei festival internazionali . Il
fautore di tutto ciò è il regista Enrico Castiglione , artista,
scenografo di fama internazionale , una sorta di re Mida , come viene
soprannominato dagli addetti ai lavori,direttore di importanti teatri
nonché del prestigioso Festival del Mediterraneo. La sua straordinaria e
irrefrenabile attività coglie di sorpresa quando in uno scoop dal vivo
ci annuncia che per il prossimo anno ed esattamente sabato 11 luglio
2015 a Siracusa debutterà la Turandot di Puccini , con già la
prevendita dei biglietti nei box office online. Aida ci ha stupiti , in
una tiepida notte, rischiarata dalla luna piena , non lontana dalle
verdi acque del fiume Ciane (κυανός, "verde-azzurro" ) con nilotici
papiri… L'eroina, una tra le più importanti nel panorama verdiano,con
Violetta , come nei quadri di Hayez e nella migliore tradizione della
pittura romantica italiana , diviene la protagonista del Risorgimento
tormentata e divisa tra ragion di stato e l'essenza del suo essere
donna. Patria , amore, gelosia , ecco gli ingredienti della musica
verdiana. Aida combattuta tra l'amore per Radames, capo dell'esercito
egiziano, il quale sottometterà l'Etiopia all'Egitto e i doveri verso
la sua patria, l'Etiopia. La vicenda ,trascritta su libretto da Antonio
Ghislanzoni, fu ideata dall’egittologo francese Auguste Mariette,
dipendente del Kedivé (vicerè) d’Egitto, Ismail Pascià. Verdi musicò
l'Aida , quale incarico per l'inaugurazione del nuovo Teatro
dell'Opera del Cairo nel 1870, ma l'opera non venne eseguita a causa
della guerra franco-prussiana, che vincolava i costumi e le scene a
Parigi. Pertanto il teatro del Cairo venne inaugurato con un 'altra
opera di Verdi, il Rigoletto. Successivamente nel 1871, l'Aida fu
rappresentata nel grande teatro del Cairo con un successo trionfale. Lo
spettacolo nel teatro greco si accende quando intonano le note della
marcia trionfale dell'Aida . La scenografia ma soprattutto i costumi
curatissimi anche attraverso una ricerca storica, illuminano con l'oro e
la vivacità dei colori del blu,del rosso e del verde la scena ,divisa in
più piani, tra statue , obelischi, sacerdoti e danzatrici. La luce
diventa l'elemento protagonista nel teatro. Prima è fioca, poi sembra
esplodere come un fuoco d'artificio nella profusione dell'oro ,
riportandoci allo splendore di una terra, l'Egitto, solo immaginata nei
pensieri e poi ad un tratto materializzatasi sotto i nostri occhi. Il
tutto conferiva all'insieme un valore emozionale , ritrovabile nelle
pitture delle tombe dell'antico Egitto, nelle maschere funerarie o nella
pittura dei riti sacri. Le voci di Radames, Marcello Giordani, di Aida,
Othalie Graham e di Amonasro , Francesco Landolfi sono da brivido e
hanno trasportano l'intera platea . La coreografia del corpo di ballo è
stata impeccabile nelle movenze e nei ritmi interpretativi, il Coro
Lirico Siciliano ha forgiato un ulteriore elemento di ornamento vocale
creando un inestimabile gioiello coreutico, molto vicino alle teorie di
Rudolf Laban. L''orchestra del Teatro Massimo Bellini di Catania ha
saputo far fronte alle non semplici complicazioni logistiche . Un
appunto da fare è il disturbo recato dai ritardatari che ad inizio
spettacolo o tra le pause,con passo lesto producevano un forte rumore di
tacchi sulle passerelle in legno. Questo infastidiva e rovinava
l'atmosfera che l'opera lirica aveva creato. Aida viene rappresentata in
un momento delicato nel panorama del conflitto medio orientale. Le
parole di Amneris sul sepolcro dei sepolti vivi ovvero di Radames e Aida
,sembrano essere profetiche per un'umanità che chiede solo come intonava
la stessa “Amore Amore Amore”, che qui proclameremo con il significato
universale di amore tra i popoli con le loro diversità etiche,
politiche e religiose... Ormai arabi ed ebrei sono in guerra da più di
sessant'anni. Papa Francesco organizzò l' 8 giugno scorso un incontro di
preghiera tra il Presidente israeliano, Shimon Perez, e il Presidente
palestinese, Abu Mazen. In questa occasione Perez fece un accorato
appello affermando che: "Due popoli, gli israeliani e i palestinesi,
desiderano ancora ardentemente la pace." Per questa ragione dal teatro
Greco di Siracusa , dall'antica capitale della Magna Grecia , a
testimonianza dell'antico splendore quale sede di cultura, bellezza e
sapere del mondo classico , si eleva un grido di pace e fratellanza tra
tutti i popoli del Mediterraneo, tanto forte quanto Guernica !
Oriana Oliveri
CATANIA
-Attori e detenuti al Musco. E’ tempo ….. è tempo di vento, di
ricordi. Del vento di tramontana, del vento che spezza, del vento che
ti taglia veloce il viso, del vento del rinnovamento. E’ difficile per i
reclusi del “ U Casteddu di Santa Caterina” fermare il tempo . La
scenografia come un labirinto emotivo traccia i sentieri attraverso cui
si muovono i detenuti e ciò che succede dentro le celle o fuori da esse
viene celato con discrezione da grandi pannelli attraverso cui lo
spettatore immagina… sembrano quadri di Pollock, sospesi. Ne è un
esempio la scena del detenuto ucciso e fatto trovare impiccato nella
cella . Dal pubblico ne vediamo penzolare solo i piedi, l’altro, il
resto è taciuto dal grande pannello, solo una parte la meno cruenta , la
meno efferata c’e’ dato da vedere. E dietro esso inizia la processione
dei compagni che come in una trenodia dopo avergli tolto il domestico
capestro, lo portano a spalla come un pescespada dopo la mattanza,
tanto da riportare alla mente l’inizio della bellissima canzone di D.
Modugno “Lu pisci spada”. Tra i lamenti dei compagni, la voce e
l’interpretazione eccezionale di Mario Incudine inizia una ballata,“
Pigghialu, piggghialu, comu u piscispada, mossi n’autru amicu …di iochi
e spassi. Chianciti tutti, li liuna e li ursi”. La storia tratta dal
libro di Carmerlo Sardo “Vento di tramontana” e portata sulla scena da
Federico Magnano San Lio , grazie all’adattamento di Gaetano Savatteri,
racconta di un il giovane agente di polizia carceraria, il quale ha
scelto come luogo per il servizio di leva il penitenziario dell’isola di
Favonio ,strana e logica assonanza con Favignana, una volta Castel San
Giacomo, che con Decreto Interministeriale del 4 maggio 1977, entrava a
far parte, insieme a Cuneo, Fossombrone, Asinara e Trani, di “Carceri
Speciali” . Lo stato di carcere speciale gli venne conferito grazie
all’incarico assegnato al Generale Carlo Alberto Della Chiesa per il
coordinamento e la sicurezza interna ed esterna degli istituti
penitenziari. I nove mesi da trascorrere a Favonio, quasi il tempo di un
parto, presso il carcere di massima sicurezza , non saranno facili per
il giovane poliziotto e le fughe repentine per raggiungere la sua
ragazza con l’aliscafo saranno sostituite man mano che si avvicina la
fine del servizio di leva, a soste più lunghe in quella scuola speciale
di vita la quale lo porterà a riflettere quei valori morali e civili
a cui ogni uomo è chiamato. Ed ha proprio ragione il boss-filosofo ,come
lo chiamano lì dentro ,a dire che al Castello lui ha imparato tante cose
, perchè “il Castello è come un’università…”. Il pubblico ascolta , ma
non è un monologo ,è un dialogo…Qui nel carcere le regole non sono
fragili e inconsistenti interpretazioni , e no! Le regole il rispetto
hanno un loro inequivocabile , preciso , chiaro valore. Mille erano le
domande che in modo naturale , istintivo volevamo fare agli attori ,
soprattutto ai reclusi dell'Istituto Penitenziario di Giarre che, grazie
al dr. Calogero Piscitello, Direttore Generale Detenuti,al dott. Aldo
Tiralongo, direttore della Casa Circondariale di Giarre, al dott.
Gianluca Creazzo, Magistrato di Sorveglianza di Catania, alla dott.ssa
Maria Rita Leotta e allo staff dell'Area educativa della Polizia
Penitenziaria di Giarre e dell’UEPE di Catania, hanno avuto l’occasione
di partecipare a questa esperienza teatrale, la quale investe con un
atto perentorio quella parte della società che vuole dare fiducia e la
possibilità di un riscatto morale anche a coloro che coscientemente
sanno di aver sbagliato. Ma cosa sogna un detenuto? Semplice , la sua
terra, la casa, la famiglia, il passato , indumenti femminili… C’è una
bellissima canzone di Lucio Dalla , “ La casa in riva al mare “, la
quale parla di un carcerato che dalla sua cella sogna la propria vita
libero con la donna che vede attraverso le sbarre della piccola
finestra, e che un giorno immagina anche di sposare. “Dalla sua cella
lui vedeva solo il mare, ed una casa bianca in mezzo al blu ,una donna
si affacciava.... Maria. E' il nome che le dava lui .Alla mattina lei
apriva la finestra E lui pensava quella e' casa mia. Tu sarai la mia
compagna Maria .Una speranza e una follia “ E le donne degli
ergastolani , dei condannati a “fine pena mai”, perché riescono ad
amare e ad essere fedeli ai propri uomini? E’ semplice la risposta e
allo stesso tempo ci stordisce , ci disorienta . Ce la da Angela , la
moglie del vecchio boss Carmelo Sferlazza,” Significa amore ,amore
soltanto“. Disarmante perché fuori quanti sarebbero disposti ad amare
così,quanti sarebbero disposti a resistere a quegli ” abbracci vuoti,
senza calore… “ sognati nel letto vuoto. Allora “meglio la morte , un
sarcofago , un fosso” chiude forte Angela. E l’amore nei bagni? Nelle
celle? Il boss Sferlazza risponde “ queste sono cose da dimenticare ,
sono cose per uomini da niente “. Però un’altra riflessione il boss
Sferlazza ci suggerisce “ ma in quale legge c’è scritto che non posso
avere un figlio, cosa devo fare dell’amore?” Si deve scordare , resta
solo il carcere che come una medicina , cattiva o buona ti cura e ti
ammazza allo steso tempo…Si il tempo, il valore del tempo. Lo conoscono
bene i reclusi e lo segnano con la cadenza delle lunghe catene di
sentenze , di promesse, dal rumore che queste producono trascinate per i
lunghi e bui corridoi dei ricordi , dei desideri e delle nostalgie. Si è
difficile decidere per chi è seduto in poltrona. Nessuno si sente come
Salomone . E poi ti accorgi come è difficile definire il limite tra ciò
che è giusto e ciò che è sbagliato. Il superiore del giovane militare,
ormai da tanti anni in servizio a Favonio, diverrà il suo mentore e lo
inizierà ai misteri , alle regole,alle leggi che disciplinano quel
piccolo stato. Suggerisce nei momenti di incertezza l’eroina del libro
che sta leggendo sull’isola del Castello : Antigone. Trasgredire ma non
tradire le leggi dello stato, per seguire “altra” legge quella
morale,quella individuale. L’occasione per questo strano modo di
trasgredire diciamo secondo “altra” legge gli verrà dato quando Il
vecchio boss Sferlazza , condannato all’ergastolo, come tutti del resto
i detenuti del Castello,gli chiederà di essere suo complice di un
piano,ma non delittuoso. Infatti Sferlazza , durante la detenzione ha
studiato il giovane poliziotto e ha capito che di lui può fidarsi. Gli
chiede di essere suo complice, ovvero di poter avere durante l’ora di
colloquio , la possibilità di unirsi alla moglie , Angela. Angela dopo
nove mesi partorirà il suo bambino ,grazie alla complicità del giovane
poliziotto, mentre il vecchio boss tra faide e nuove alleanze verrà
ucciso all’interno del penitenziario. La cinematografia più volte si è
occupata della dura situazione carceraria . Ricordiamo Brubaker di
Stuart Rosenberg del 1980 con Robert Redford , In nome del padre del
1974, Non voglio morire (I Want to Live!) di Robert Wise del 1958 con
Susan Hayward premio Oscar come migliore attrice protagonista nel 1959 ,
Il Castello (The Castle) di Rod Lurie del 2001 o per finire , ma ce ne
stanno tantissimi , Tutta Colpa di Giuda,commedia con musica di Davide
Ferrario del 2009. Mimmo Mignemi, David Coco, Mario Incudine Luca
Iacono, Marina La Placa Gianluca Belfiore, Erminio Caruso Davide
Intravaia, Giuseppe Manuli Guglielmo Quattrocchi, Salvatore Rapisarda
sono stati i protagonisti che hanno visto ancora una volta il Teatro
Stabile di Catania sottolineare la sua funzione sociale, quale tòpos di
rappresentazione della comunità la quale agisce attraverso il dialogo.
Il teatro come contemporanea Agorà , luogo di raduno e di raccolta di
opinioni,il teatro luogo dove decidere e prendere una e una sola
posizione . Oriana Oliveri
CATANIA
-
Invenzione comico in opera romantica: Don Pasquale a Teatro Bellini.
Gustoso e travolgente lo spettacolo del “ Don Pasquale” al teatro
Massimo Bellini di Catania. Il sipario si apre, come nella migliore
tradizione della pittura hogarthiana , Matrimonio alla moda,
tra la complessa rappresentazione di corpi spazi e posture, sulla
tragica e buffa figura di Don Pasquale, Simone Alaimo, basso e regista.
L’opera comica di Gaetano Donizetti, fu composta quando il compositore
aveva raggiunto ormai la fama con Anna Bolena, l’Elisir d’Amore e Lucia
di Lammermoor, e dopo la lettura casuale del vecchio libretto di
Angelo Anelli. La vena romantica e le straordinarie doti compositive di
Donizetti erano riconosciute in tutta l’Europa, nel "mondo delle
capitali", e anche a livello popolare. Il suo percorso creativo
contribuì potentemente ad inserire l'opera, prima rivolta solo al
"bel canto", nella più profonda e drammatica teatralizzazione
romantica, anticipandone così la grande stagione verdiana. Nella
partitura, ormai emancipata dagli stilemi dell’opera buffa napoletana
che Rossini aveva portato a livelli non più superabili, Donizetti rivelò
di aver acquisito una scrittura scintillante e una personalità comica
del tutto inedita in cui si manifestava la tendenza a rivestire di
sfumature patetico-sentimentali i personaggi dell’opera buffa,
anticipando così quei caratteri che si sarebbero palesati nei capolavori
della maturità e che si presentavano come frutto d’una concezione
teatrale nuova anche sotto il profilo sociale. Cosi il tema dell'amore,
quanto quello dell'intreccio sentimentale, laddove la sensibilità
dell'artista si apre ad un clima psicologico di totale partecipazione,
nel Don Pasquale diventa un procedimento libero e vario, che si modella
docilmente sulla mutevole psicologia dei personaggi. La sensibilità, i
caratteri farseschi e l'intreccio comico della musica di Donozetti si
concentrano su una dimensione rasserenata e velata da una patina di
pacato e misurato sentimento elegiaco. In tale prospettiva
l’approfondimento psicologico dei personaggi, quali quello di Norina,
dello stesso Don Pasquale o del dottore Malatesta, vengono affidati non
soltanto alla voce ma all’orchestra, diretta da Antonio Manuli, mediante
una scrittura cameristica che,dialogando con il canto, ne diviene
sostegno e arricchimento drammatico. Allo stesso modo il rapporto
parola-musica diviene più stretto,come dimostra il particolare uso del
recitativo nei dialoghi che nella sua varietà formale, acquista una
nuova dimensione ora drammatica ora comica. Non diversamente nel teatro
comico, assunto in una dimensione apparentemente tradizionale, il
recupero della satira di costume si riveste di elementi patetici e
sentimentali,che troveranno la loro massima realizzazione durante lo
spettacolo,quando coro ed attori si uniscono al pubblico della platea
del Bellini tra un corri corri e “…che interminabile andirivieni!Tin tin di qua,ton ton di là,in pace un attimo mai non si sta”. A
tale riguardo il musicista maturò una precisa teoria che lo portò a
sottolineare sempre il valore dell’espressione verbale come
indissolubile passaggio all’intonazione musicale. Scriverà infatti a
Marcello Pepe: “la musica non è che una declamazione accentata da
suoni, e perciò ogni compositore deve intuire e far sorgere un canto
nell’accento della declamazione delle parole. Chiunque in questo non
riesca o non sia felice, non comporrà che musica muta di sentimento”.
Da ciò la consapevolezza di non poter prescindere lo svolgimento del
discorso musicale dal rapporto tra musica e parola. Così Norina sotto le
mentite spoglie di Sofronia, leziosa Laura Giordano soprano, complice il
dottor Malatesta, Francesco Vultaggio baritono,si presenta a don
Pasquale, come dolce donzella, bella e pura,fresca di convento ma, come
dirà in sordina, anche esperta e bricconcella nel conoscere “ i mille
modi dell’amorose frodi,i vezzi, e l’arti facili per adescar un cor”.
Un ultimo aiuto viene ancora dal dottore,nella veste del finto fratello
che le consiglia “Collo torto. Bocca stretta”, con la mimica che
accompagna nel gesto la prossemica tanto cara al teatro partenopeo. Al
povero Don Pasquale da Corneto(carina l’assonanza corneto
cornuto)deriso, spogliato di qual si voglia autorità coniugale,a dopo la
celebrazione del finto matrimonio,gli verrà servito dalla impudente
moglie uno schiaffo che interpreta tutto al femminile lo “jus
corrigendi” in vigore in Italia sino agli anni sessanta…Come morto
che cammina , al suo medico e ormai cognato, svela di voler divorziare e
cacciar via di casa la fedifraga, e abdicare, pentito, in favore del
modesto matrimoio tanto contrastato e ora invece unica via di fuga ,
del nipote Ernesto con Norina, che non sospetta essere la sua stessa
finta sposa Sofronia. Tutto finisce con una burla finale e un “meno
male” del vecchio bacucco. Il Don Pasquale scritto a Parigi nel 1843
, proprio quando la borghesia vedeva crescere il proprio ruolo e potere,
è il prototipo della commedia borghese, con momenti divertenti ed una
punta di femminismo,possibile solo nella Parigi libertina di J.A. Ingres,
de la Bagnante di Valpinçon, dell’ Odalisca con schiava,
la Parigi in cui il termine divorzio, presente nell’opera, non avrebbe
temuto nessuna sorta di censura a differenza dell’Italia ancora troppo
legata alla Chiesa. Ma anche in una Parigi fondamentalmente amara ed
intrisa di melanconia. Don Pasquale è una riflessione
sull’invecchiamento, sulla lealtà tra amici, sulle sfaccettature
dell’amore. Donizetti inventa una nuova dimensione del buffo. Nella
produzione donizettiana vige una multiformità del comico,del buffo in
quanto entra a pieno titolo nella categoria romantica che ne fa una
singolarità non solo nella produzione Donizettiana, ma in tutto l’arco
della produzione ottocentesca. Donizetti non si ferma su un ben preciso
schema di opera buffa. Nelle opere giovanili L’ajo dell’imbarazzo
è un ricalco rossiniano,pochi anni dopo scrive quel capolavoro unico nel
suo genere che non appartiene esclusivamente al comico, l’Elisir
d’Amore. Dopo ci sono le farse napoletane che vanno dal buffo il
Campanello e a Le convenienze e le inconvenienze teatrali,altro
tipo di teatro nel teatro, Rita ou Le mari battu, piccola opera francese dove il buffo sconfina
continuamente nel patetico, o il semiserio grottesco Il furioso
all'isola di San Domingo, altro carattere completamente diverso dal
comico precedente per accedere al capolavoro assoluto,l’invenzione di
una nuova dimensione del buffo che è il Don Pasquale,un “dramma
buffo”, come recita il frontespizio originale. Il Don Pasquale è il
dramma della senescenza ed è la creazione di un personaggio
assolutamente triste che ha dei risvolti persino drammatici, la
dimensione, l’ambiente è quello della commedia borghese. Donizetti
rivela la sua origine legata al luogo di nascita, alla memoria del
costume e delle tradizioni popolari ma anche nei tanti tratti delle
sue lettere, nel suo linguaggio epistolografico. Donizetti è uomo di
umili origini, il padre guardiano al Monte dei Pegni e la madre
tessitrice, giunge alla condizione borghese, attraverso la sua carriera
e non dimenticò mai l’origine nativa, le ragioni native ed è per questa
appartenenza che il suo Don Pasquale diviene un unicum. La relazione
teatro-spettatore e la comunicazione canto-musica fanno parte del mondo
teatrale di Donizetti e nel Don Pasquale ciò viene enfatizzato. La
storia vuole che l'opera sia stata composta in soli undici giorni.
L'incredibile prolificità di Donizetti è dettata dal fatto che in
quell’epoca il compositore non percepiva i diritti d'autore intesi come
lo sono oggi, ma quasi solamente il compenso stabilito al momento della
commissione dell'opera. L'abilità di Donizetti sta nel fatto che non
scende mai a livelli artistici improponibili, grazie al mestiere ed alla
professionalità acquisiti presso l’Istituto Musicale Maggiore di
Bergamo, quando giovanissimo aveva avuto come insegnante di
composizione Johann Simon Mayr, che ne era anche il direttore. Si
tratta di quella che viene definita la "poetica della fretta",
che farebbe sì che la fantasia creatrice, invece di essere turbata e
stressata dalle scadenze da rispettare, è solleticata e tenuta sempre
sotto tensione dalla frenesia creativa. Ilarità, allegria, buon umore,
apprezzamento, consenso e partecipazione ha espresso il pubblico
catanese al prostrato don Pasquale durante l’assolo, intercalato da
pennellate veloci di vernacolo, mentre accorato si muoveva tra la
platea. C’era chi lo chiamava “Don Pasquale, don Pasquale” altri gli si
rivolgevano dispiaciuti un “ma comu ti finiu…” altri ancora “Bravissimo
, Bravissimo” e lui , lui Don Pasquale grave ora a gesti ora a parole
rispondeva. Ormai la catarsi era avvenuta e la platea del Teatro Bellini
era diventata il coro greco! E’ la magia di un Teatro, quello del
Bellini che tiene sempre conto non solo dello spettacolo ma anche del
contatto umano e di un pubblico, quello catanese da sempre vicino a che
è deriso, raggirato, ingannato, imbrogliato,truffato,frodato, ...etcetera,
...etcetera, ...etcetera, per dirla come il notaro, il
bravissimo Gabriele Mari, nella deliziosa performance del ciuffo
danzante. Oriana Oliveri
CATANIA
-–Stabile: Antigone su Eutanasia e carceri. La delicata questione
dell’eutanasia e delle carceri è stata sottolineata nell’Antigone di
Valeria Perella in scena al Teatro Ambasciatori di Catania dal 23 aprile
al 5 maggio con uno spettacolo “eccezionale” nel quadro delle
manifestazioni del teatro Stabile.
Antigone è morta . Il pubblico del teatro Ambasciatori chiacchiera,
prende posto, rumoreggia, aspetta Antigone. Quando di colpo si fa buio.
Ed eccola Antigone forte e vittima. E’ l’Antigone dei notiziari, dei
telegiornali , è l’Antigone di chi contrappone la legge dei legami,
degli affetti, alla legge del diritto, fredda, meccanica, scientifica
.E’ l’Antigone della naturalis ratio contrapposta allo ius gentium.
Tutto inizia in fretta, il teatro ci sorprende nel buio, non riusciamo a
percepire lo scorrere del sipario. Antigone ci appare sospesa ad una
corda, scende lenta con la postura di un nudo michelangiolesco. Incisiva
come la luce del Caravaggio che nel buio totale della scena, taglia il
rosso delle vesti con una lama di un giallo dorato. Ciò che era il
ricordo scolastico dell’ Antigone svanisce, adesso è altra l’immagine.
La scenografia di Maurizio Balò (bellissima!) ce la restituisce nel
silenzio di uno spazio indefinito, ”l’altro”, dove nulla è a caso :
oggetti, immagini, scritte effimere, essenzialità delle forme. Antigone,
Gaia Aprea, si presenta prostrata sconfitta dai luoghi comuni. Tocca
terra, lenta si rialza e canta la sua nenia, una lunga sequenza di
farmaci, “Suxamethonium, pancuronium dibromuro, alcurorium dicloruro,sirupus
aurantii corticis,flunitrazepam, hexobarbital sodico”, utilizzati per
tenere in vita chi è in coma. Si è ribellata e dunque si è macchiata
dell’atto di hýbris, di tracotanza,di eccesso, di superbia nei
confronti di Creonte che in quest’Antigone ha preso il nome di
Legislatore, Paolo Serra, e che rappresenta Dike, ovvero la Giustizia.
L’occhio attento dello spettatore scruta il volto di Antigone nelle
macroimmagini fluide in bianco e nero proiettate su un diafano
sipario. Quello che abbiamo visto alla prima dell’Antigone dello
Stabile di Catania non è solo Teatro ma Arte! Non è solo teatro, è
pittura dei corpi , è scultura della luce e della voce, è architettura
scenografica, è tutto, è tutto ciò che può definirsi Arte. Suggestivo
il disperato desiderio di questa nuova Antigone di Valeria Parrella di
seppellire il fratello per strapparlo all’accanimento terapeutico , a
“un sonno chimico” che relega suo fratello Polinice da 13 anni “fuori
dalle mura “ si, ma non di Tebe “della vita”. Condannato ad un forzato
vivere antinaturale che la stessa Antigone spiega con una metafora,
ovvero se il tempo nella clessidra scorre lasciando cadere i granelli
uno dopo l’altro in senso verticale ,ora invece la clessidra di
Polinice è ferma, adagiata in senso orizzontale, e l’ultimo granello
è… “in bilico, sospeso”, in attesa. La vita è un soffio che esce, no che
entra”. Struggente è il ricordo del fratello, fatto con frasi incisive,
asciutte, che come colpi di martello su di uno scalpello costruiscono
nella mente dello spettatore il concetto di vita e la disperata lotta di
chi deve combattere contro i pregiudizi perché rivendica solamente
dignità per un corpo inerme, attraverso la richiesta del giusto
seppellimento, perché è ”il legame che cambia il giudizio”, la legge.
Lei, Antigone diviene la metafora dei diritti del singolo contro quelli
dello Stato. E’ la dicotomia che vede la ragione per il rispetto della
dignità personale contro la ragion di stato e quella morale, lo ius
naturale e lo ius civile. Certamente sono punti di vista… E il divieto
di Creonte al seppellimento che nella tragedia viene letto come il
ricorso all’eutanasia, suona come l'espressione di una volontà basata
sul principio del nomos despotes, ovvero della legge sovrana, che il
Legislatore pone al di sopra del corpus delle leggi della polis, νομος
,nomos, e delle leggi divine agrapta nomima, αγραπτα νομιμα alle quali
si appella la giovane donna. Antigone è stata tradita dalla sorella
Ismene la quale, al contrario, rappresenta il modello femminile di donna
sottomessa e obbediente al potere ed alle leggi. Ismene è anche il
contraltare debole di Antigone, ossia quella parte della coscienza che
esprime i suoi dubbi, le sue incertezze. Ma a prevalere è l’Antigone
dell’azione, del coraggio, ma anche della disperazione. Nemmeno
l’indovino Tiresia, Anita Bartolucci, chiamato, può aiutare il
Legislatore, però gli suggerisce di riflettere sui suoi dubbi perché è
nella paura che si evidenzia “ la tua umanità”. Non a caso vengono
citate le Moire, le quali erano le tre personificazioni del destino
ineluttabile. Cloto tesseva il filo del fato di ogni uomo, Lachesi lo
avvolgeva al fuso, ed infine Atropo recidendolo ne segnava la morte. Il
Legislatore-Creonte, come Atropo avrebbe dovuto recidere il filo, non
con lucide cesoie, ma attraverso un atto giuridico. Lo ha fatto Antigone
e la condanna non si fa aspettare, é quella del carcere a vita. Il
carcere per la Perella equivale ad un’altra forma di morte. Antigone
accetta la condanna come irreversibile destino “Ananke”, necessità
inalterabile e fato. La cella diviene per Antigone e un’altra detenuta,
il loro sarcofago, dove sigillare la vita, una morte senza morte .
Esasperato, altissimo , a più piani il letto a castello( innegabile
l’apporto dell’Accademia delle Belle Arti di Napoli, anche per i
riferimenti scenografici all’Arte, in questo caso quella Concettuale)
dove le due condannate attenzionano allo spettatore il concetto di
carcerazione e di ergastolo. Ancora una volta Antigone prende la sua
decisione e all’azione della condanna risponde con la sola reazione che
conosce quella del suicidio, il suo … Azione e reazione, un logico
succedere dalla causa all’effetto, come il costrutto sintattico di
figure plastiche nel frontone triangolare di un tempio greco. E’ con
un’ immaginaria lettera scritta durante la carcerazione, la quale
appare proiettata su tutta la scenografia e leggibile dal pubblico
(magistrale la regia di Luca De Fusco e quella delle luci di Gigi
Saccomandi) che Antigone abbandona lo spettatore, facendogli
comprendere adesso che quella scatola buia dove per incanto erano
apparsi i personaggi ora in basso, ora in alto, ora al centro, non era
altro che l’analessi, il flashback della nostra coscienza. Antigone era
morta e noi con la nostra indifferenza, con la nostra superficialità non
ce n’eravamo accorti! O forse ce n’eravamo solamente dimenticati.
L’avevamo abbandonata lungo il coro dei cortei di chi manifestava ,nel
coro dei banchetti di coloro che chiedevano di firmare a favore o
contro, l’ avevamo abbandonata nel coro di coloro che avevano gridavano
giustizia per le vittime ,l’avevamo scordata tra coloro ,i pochi , i
diseredati che non hanno voce e che con troppa non curanza noi
bypassiamo cambiando canale o girando semplicemente pagina. Antigone
era morta e noi non ce n’eravamo accorti. Ce ne ricordiamo solo adesso
che la vediamo nell'esodo della tragedia risalire sulla stessa corda ,
la stessa corda dalla quale prima era scesa, nel prologo. Ma ci siamo
riconosciuti negli stasimi, nel coro dei due solitari attori che
commentavano, noi eravamo lì, pensavamo...stavamo riflettendo. Nel buio,
nel silenzio ci siamo ritrovati, in quel buio che ci ha colto di
sorpresa, in silenzio… “ Il silenzio è l’unico rumore che ci attraversa
e ci avvolge immutabile nella Storia. Dopo, taci Antigone , se riesci,
taci” . Suxamethonium, pancuronium dibromuro, alcurorium dicloruro,
sirupus aurantii corticis, flunitrazepam, hexobarbital sodico.
Oriana
Oliveri
CATANIA
-Stabile: “Sogno di una notte di
mezza estate”. Degli amori delle beffe di sogni e di
incantesimi. Produzione Teatro Stabile di Catania dal 30 novembre al
16 dicembre 2012, presso il Teatro Verga di Catania con Leo
Gullotta. La scena si apre. Uno specchio, e davanti un uomo. Come in
un quadro di Bacon, lo specchio ci avverte che ciò che sta accadendo
sul palcoscenico ci confonderà ci ammalierà e se per un attimo
penseremo d’esser davanti ad esso, l’attimo successivo ci troveremo
proiettati dentro il suo riflesso,nel mondo del sogno, della
fantasia. Lo specchio ci introduce, lesto e sicuro dal mondo
dell’immaginazione a quello metafisico, degli spiriti per poi
ricondurci fuori in quello del volgo o in quello curtense, senza che
ce ne rendiamo conto, perché è lui che comanda. Geniale la scelta di
mettere nella scena Teseo, Emanuele Vezzoli, solo davanti allo
specchio. Vestirsi sulla scena ha il sapore di un antico rito,
quello della vestizione dell’attore,prima che nel sacro spazio si
attui il rito della catarsi. Nel “Sogno di una notte di mezza
estate” si parla d’amore. L’amore corrisposto che porterà Teseo al
sacro vincolo del matrimonio con Ippolita, Ester Anzalone; l’amore
non corrisposto quello della infelice Elena,che ama Demetrio,ma che
a sua volta è innamorato di Ermia ,la quale non ama Demetrio, ma
ama ed è amata da Lisandro. Sembra una storia senza fine,la ruota
di un pavone, un pavone come lo si vede nell’oculo nella Camera
degli Sposi a Mantova ed invece nella scenografia di Luigi
Perego ci ricorda che siamo in un’inconsueta Atene, governata da un
Duca. Forse già siamo nel sogno? Però sarà proprio un sogno a dare
ad ognuno di essi la speranza di un amore perfetto. La regia di
Fabio Grossi ha restituito al pubblico una commedia shakespeariana
la quale sa interpretare con distinti linguaggi i diversi tòpoi,
in cui i personaggi si muovono: quello delle fate, che alternano al
verso sciolto, canzoni e filastrocche, quello degli amanti dominato
dalle liriche d’amore e quello degli artigiani,dalla goffa parodia
del verso aulico. Le musiche originali di Germano Mazzocchetti e il
balletto con le coreografie di Monica Codena(nei bozzoli larvali
ricordano il Pilobolus di Alison Becker Chase o i Momix di Moses
Pendleton)sanno evocare per l’ eccezionale bellezza ed inventiva,
immagini fiabesche che interagiscono in maniera osmotica con la
tutta scenografia. Il pubblico viene catapultato in un'avventura
ricca di sfaccettature. Lo spettatore viene coinvolto, stregato e
affascinato. La lettura da parte del pubblico dei diversi ruoli
degli attori è facilitata da un’esplicita prossemica che interpreta
ora la sophia,nella saggezza popolare dei goffi attori, ora
la phronesis, come capacità, abilità di raggiungere
l’obiettivo ,sia nella corte del palazzo ateniese,sia nel regno dei
boschi. Leo Gullotta,Alfio Anfuso detto Bottom, interprete della
saggezza popolare, sophia, nel monologo finale, nella duplice
veste di attore nel teatro nel teatro,ribadisce il ruolo
fondamentale del sogno, del teatro, e di cosa sarebbe l’esistenza
senza la loro presenza “…il nulla , non resta che il nulla!”.E’
l'aforisma shakespeariano per eccellenza "siamo fatti della
stessa sostanza di cui sono fatti i sogni , e la nostra vita è
circondata dal sonno”.Altrettanto lo spagnolo Pedro Calderón de
La Barca, nel 600, in La vida es sueño fa dire a
Sigismondo “la vita è un sogno”. Al contrario l’abilità di
raggiungere l’obiettivo, phronesis, e di raggiungerlo con
ogni mezzo,”il fine giustifica i mezzi” sentenziava Macchiavelli, è
espresso da Teseo attraverso il ricatto.Egli caccierà dalla città
la ritrosa Ermia se allo scadere dei quattro giorni non si unirà in
matrimonio con Lisandro. La phronesis in Oberon,re delle fate, che
per la brama di possedere il giovane paggio della regina Titania
(sic!) , la farà innamorare di un asino con un sortilegio. Uno
fallirà , in quanto Ermia sposerà Lisandro, l’altro avrà il suo
paggio. Il mondo è folle e folle è l’amore.Sogno di una notte di
mezza estate è un vero e proprio trattato sull’amore ma anche
sul nonsenso della vita degli uomini che si rincorrono e che si
affannano ad amarsi, che si innamorano e si desiderano senza
spiegazioni, che si incontrano per una serie di casualità di cui non
sono padroni. La legge che li governa è la natura intesa come
passione, sensualità e debolezza, ma soprattutto illogicità. E
Sogno di una notte di mezza estate parla delle diverse facce di
Eros. L’amore narcisistico di Bottom, il tessitore-attore dilettante
che vorrebbe recitare tutte le parti della stramba tragedia del suo
amico falegname, Gaudenzio Nuara, (distorsione di ‘Muarra? Come per
Anfuso fuso?Il regista ha forse voluto celare il mestiere dei sei
commedianti).L’amore di Teseo per Ippolita,regina delle
Amazzoni,l’uno vincitore sul Minotauro,sulla bestialità taurina,
l’altra esperta nel domare l’istintualità selvaggia del cavallo.
L’amore tra Ermia e Lisandro e di Elena per Demetrio, che un
Archetipo fa muovere come burattini, soffrire e alla fine della
commedia conciliare. A differenza del teatro greco,in cui uomini e
dei dialogavano, combattevano ,si amavano e procreavano, nell’opera
shakespeariana, gli esseri umani non possono interagire ne
immaginare i motivi per cui le cose succedono.Come mai la bella
regina delle fate Titania si è innamorata di un asino? Perchè
Lisandro da sempre innamorato di Ermia adesso la disdegna ?Ciò che
il teatro greco chiamava divinità, nel teatro del sogno è
interpretato dagli spiriti. Solo in opere successive quali
l’Amleto,Giulio Cesare ,La Tempesta, gli spiriti si manifesteranno
visibilmente agli uomini, mostrando le loro ombre e i loro poteri.
Tre mondi si contrappongono in Sogno di una notte di mezza Estate.
Il mondo della realtà: quello della corte con
Teseo e Ippolita e dei giovani innamorati. Il mondo della realtà
teatrale: con gli attori, comici pasticcioni e sgangherati che si
preparano alla rappresentazione. Infine il mondo della fantasia:Il
mondo incantato di Oberon e Titania con elfi e fate, quello degli
spiriti e delle ombre,le creature del Sogno. La diversificazione del
linguaggio di Shakespeare è rispettato dal regista che usa un
linguaggio chiaro per i personaggi che vivono nella corte,luogo di
civiltà e di cultura in cui le cose possono essere viste,la luce ne
rappresenta l'ordine; un altro per coloro che vivono nella foresta
dove distorsione oscurità e magia si fondono nell’irreale,il buio
infatti è complice di una realtà misteriosa e esoterica.Se per la
squinternata compagnia di attori Shakespeare scrive i dialoghi in
dialetto gallese,Fabio Grossi utilizza il vernacolo dalle
connotazioni spiccatamente popolari o per rendere più goffa ed
esilarante la tragedia di Piramo e Tisbe, inserisce quelle
stesse figure retoriche adottate dal drammaturgo "Sento il volto
della mia Tisbe..." "vedo il suono della tua voce”.Il far di
necessità virtù della compagnia di teatranti rende amaro il
sorriso dello spettatore che comprende lo spartano allestimento nei
teatranti per le scenografie di Piramo e Tisbe. Per cui non
ci si stupisce se un attore possa diventare un chiaro di luna
tenendo in mano una lanterna ad olio e l’altro recitare il muro,
mimando persino con due dita aperte la fessura attraverso la quale
dialogano i due infelici amanti. Benedetto Croce nella sua critica
definisce la “…recita degli artigiani filodrammatici , che non sono
già ridicoli semplicemente ,nella loro goffezza, ma fanciulleschi ed
ingenui , suscitano una sorta di intenerimento gaio: anche per essi
non si ride , si sorride”. Esilarante la performance di Leo Gullotta
nella veste di Piramo e di Sergio Mascherpa nel ruolo di Tisbe. Per
assurdo in questa commedia,tra le varie ambientazioni,risulta essere
più realistica e credibile,ed anche per questo la più comica,quella
legata alla compagnia degli attori che per antonomasia appartengono
al mondo dell’immaginazione,al mondo dell’arte che avvicina e mette
in comunicazione la vita reale con quella dei sogni. L’attore come
Mercurio diviene messaggero e recita agli uomini ciò che la sua
arte ha visto, udito nel mondo che sta oltre, l’altro. Non
dovremmo scordare il concetto di mostro,che Shakespeare tratta in
maniera comica nei riguardi della bellissima Titania innamorata di
un mostro, un asino, e crudele nei riguardi di Ermia, che non sa
spiegarsi perché Lisandro,mostro, l’abbia tradita con la sua amica
Elena , e di Elena che vede dei mostri in Lisandro e Demetrio,in
quanto feriscono una donna già segnata dal fatto che giammai prima
nessuno l’aveva amata.Ma il mostro non sempre è brutto e cattivo.
Sono gli echi di un epoca classica che aveva imposto l'ideale di
perfezione della kalokagathaia, Kalòs kai agathòs, "il bello
e buono". Toccò nel 600 all’accademico e scienziato amico di Galileo
Galilei, Carlo Roberto Dati nell'Orazione in lode e difesa dei
brutti, mettere in luce il destinocrudele di alcuni
bellissimi,Giacinto, Narcisio , Adone. Nel 700 per il filosofo
inglese David Hume la bellezza è nella mente di chi la contempla e
nell’800 gli scrittori che descrivevano i bassifondi di Parigi negli
aspetti più crudi, arrivarono ad esaltare persino la malattia: le
espettorazioni non resero meno affascinante la morente
tubercolotica Violetta de la Signora delle camelie di
Alexandre Dumans figlio, divenuta poi La Traviata di G.
Verdi, o la Mimì della Bohème. Il brutto verrà rivalutato nel
romanticismo, con la figura del deforme Quasimodo nel Notre Dame de
Paris,del gobbo nel Rigoletto,del mostro di Frankenstein immaginato
da Mary Shelley o del nasuto Cyrano De Bergerac di Edmond Rostand.
Complimenti alle luci di Franco Buzzanca che sulle variazioni del
tema natura e amore riesce ad emozionare con i bellissimi
notturni illuminati dalla luce della luna e dalle danze di fate ed
elfi. Oriana Oliveri
Catania - Stabile Catania:
Galileo a scuola “ciò
che non è stato detto”.
Paolini in
“ITIS GALILEO”.
Lo scrittore tedesco Bertolt Brecht, nella prima metà del secolo
scorso, pubblicò nella raccolta Poesie e Canzoni versi dal titolo “Sia
lode al dubbio”. Ciò che conquista in quelle righe è la forza
asseverativa della fondamentale libertà del dubbio: “…Oh quanta fatica
ci volle per conquistare il principio!/Quante vittime costò!/ Com’era
difficile accorgersi/ che fosse così e non diverso! / Con un respiro di
sollievo un giorno/ un uomo nel libro del sapere lo scrisse. / …
Ma può avvenire che spunti un sospetto, di nuove esperienze,/
che quella tesi scuotano. Il dubbio si desta./
E un altro giorno un uomo dal libro del sapere/
gravemente cancella quella tesi…”. Ed è sulla considerazione de concetto
di dubbio che Marco Paolini e Francesco Niccolini (coadiuvati per la
consulenza storica da
Giovanni De Martise per quella scientifica da Stefano
Gattei) hanno presentato al Teatro Ambasciatori di Catania per Stabile
della stessa città lo spettacolo ITIS Galileo. Il titolo dai toni un
pò scanzonati, ci riporta alla memoria la sigla di un Istituto
scolastico, ma in verità è uno stratagemma per avvertire lo spettatore
che quanto seguirà sarà un excursus sui generis. Nulla a che vedere con
una lezione filosofico-scientifica su Galileo. Quello di Paolini è il
Galileo delle nostre domande scolastiche, quelle che ci siamo poste sui
banchi di scuola, sulla figura dello scienziato. È la stessa domanda
che Antonello Venditti si rivolge quando in Compagno di scuola si
chiede “…al punto che adesso non so se Dante sia stato un uomo libero o
un servo di partito…”. Paolini, istrionico, padrone della scena, nel
suo monologo, presenta un Galileo moderno e romantico.
Fiorentino, ma nato a Pisa, geniale,
ma non laureato, insegnante precario di matematica all'Università, anche
un pò antipatico ai suoi colleghi e che arrotonda lo stipendio facendo
oroscopi, e che “se la tira” specialmente dopo l'invenzione del
cannocchiale. Ma Galileo è soprattutto lo scienziato che rifiuta la
morte eroico-classica abiurando, ma non rinuncia alle sue teorie. China
il capo ai dogmi della Chiesa senza cambiare idea. Alla fine ci appare
come un uomo libero dalla mente aperta, capace di riconoscere gli
errori, suoi e non,e di aprire il suo intelletto sino alla vecchiaia al
dubbio. La sua verità come dirà lo scienziato nell’opera Bertolt Brecht
in Leben des Galilei “Vita di Galileo”, “la verità è figlia del tempo e
non dell’autorità”. Galileo è lo
scienziato che con le sue rivoluzionarie intuizioni, rischia di mettere
a repentaglio gli equilibri teologici e sociali del suo tempo. Per
alcuni si piega alla ritrattazione per paura della tortura, per altri
per mancanza di vocazione eroica, ma ciò che mette d’accordo tutti è che
nell’abiurare Galileo ha intravisto per i suoi studi una maggiore
utilità in quanto potrà tranquillamente (sic!)continuare le proprie
ricerche. Un'opera, quella dell’attore
bellunese, sulla responsabilità e sul destino della scienza che anche
oggi sembra più che mai attuale. Come sarebbe cambiato il corso della
storia, il corso della scienza, o meglio della Scienza, se Galileo non
avesse abiurato? Nel momento in cui Galileo smentisce le proprie idee
per paura delle torture, Andrea, un suo allievo deluso esclama:
“Disgraziato il paese che non ha eroi!”, Galileo gli risponderà “Felice
il paese, che non ha bisogno di eroi!”.
Del resto l'8 febbraio del 1600 Giordano
Bruno era stato costretto ad ascoltare inginocchiato la sentenza di
condanna a morte per rogo, e alzandosi rivolgendosi ai giudici,
sentenzia la storica frase: “Maiori forsan cum timore sententiam in me
fertis quam ego accipiam” dal significato:”Forse tremate più voi nel
pronunciare questa sentenza che io nell'ascoltarla”.. Il lavoro di Marco
Paolini su Galileo, padre della scienza moderna parte da questa
considerazione: “Essere geniali, in circostanze difficili, può essere un
problema, per gli altri soprattutto”. L’intelletto dello scienziato si
aprirà al dubbio fino alla fine, fino alla vecchiaia.E’ nel 2010 che Marco Paolini, insieme ad alcuni amici e collaboratori, ha
iniziato a leggere e scambiato opinioni e domande su Galileo e Copernico,
Keplero, Cartesio . “Da quei ragionamenti, da quelle letture, non è nato
un racconto compiuto, ma una serie di spunti per cercare le domande
giuste per interrogare il presente. Una fra tante come mai quattrocento
anni dopo Galileo continuiamo tutti i giorni a scrutar le stelle come
fossero fisse per fare l'oroscopo. Che cielo usiamo, quello di Copernico
o quello di Tolomeo?”. L’attore continua:“Lavorare
attorno alla figura di Galileo-
afferma -è
stato come tornare indietro sui banchi di scuola e provare a scoprire un
pezzo di Storia a cui nessuno ti ha mai fatto appassionare. Il Seicento
è il secolo nel quale si sono gettate le basi della modernità. Copernico,
Keplero e Galileo hanno rovesciato il mondo. Cartesio ha rovesciato la
concezione dell’uomo separando il pensiero dal mondo. Giordano Bruno e
Tommaso Campanella hanno ripensato la distanza tra Dio e mondo”.
Galileo prostrato dal tribunale
dell’Inquisizione tiene in serbo i suoi studi, ma continua in segreto a
scrutare il cielo. Ma sarà sul letto di morte che consegnerà ad Andrea,
suo allievo, I Discorsi, un manoscritto che raccoglie tutto il suo
lavoro. Questi partirà alla volta dell’Olanda, paese dove potrà
divulgare liberamente le scoperte del suo maestro, lontano
dall’inquisizione della Chiesa. Lo spettacolo è imprevedibile così
come era iniziato. Uno spettatore è chiamato sul palcoscenico ed
invitato a leggere una pagina dall’opera Dialogo sopra i due massimi
sistemi. Il tutto si svolge con toni scherzosi viene redarguito il
malcapitato per gli errori di lettura o per la non affidabilità della
conoscenza dei termini latini, allo stesso modo, imprevedibile e
sconvolgente è la fine dello spettacolo. Come nel film
Il dottor Stranamore, ovvero: come imparai a non
preoccuparmi e ad amare la bomba, Dr. Strangelove, film del 1964, diretto
da Stanley
Kubrick,
nella memorabile scena
quando per un'avaria il comandante a cavalcioni
sulla bomba atomica, agitando il suo cappello
da cowboy,
viene lanciato sull’obiettivo, così Paolini chiude lo spettacolo,
cavalcando una mina una sorta di pseudo modello galileiano, mentre
riecheggia, in versione rock, la Quinta di
Beethoven.
“C'è qualcosa che lega Galileo alla bomba atomica"…
conclude Paolini. In effetti c’è da
pensare… E se Einstein avesse “abiurato” i suoi studi sulla relatività,
sull’atomo, chissà come sarebbe cambiata
quella
mattina del 6 agosto 1945, quando la città inerme di Hiroshima fu scelta
come bersaglio facile per sganciare l’atomica solo perché il cielo, a
differenza di altre città giapponesi, era limpido. Certo non è facile
essere eroi, però la scienza non può eludere il suo fine fondamentale:
essere ad esclusivo vantaggio dell’umanità. Renzo Piano il 22 novembre
2010 , a “Vieni via con me “ ha rilasciato una bellissima intervista sui
diversi significati del verbo fare. Ma l’architetto non parla solo del
fare come costruire “aedificare” . Egli parla del fare come
coefficiente di valore della ricerca .Vi sono molte attinenze nelle
parole di R. Piano con la ricerca del fare di Galileo. In Architettura
come nella Scienza,in Renzo Piano come in Galileo Galilei. Per Galileo
aver ascoltato i suoi accusatori durante il processo del l’inquisizione
non è stato un atto di obbedienza, ne tanto meno un compromesso ,
ascoltare è stato migliorare il suo progetto affinare la sua
ricerca... “E’ un verbo molto importante fare. Fare, costruire
- afferma il noto architetto- è la più antica scommessa dell’uomo ,
insieme allo scoprire, al navigare e al coltivare i campi. E’ un nobile
mestiere quello dell’architetto, se fatto bene. Fare bene. Per
fare bene bisogna capire e ascoltare . E’ un’arte complessa quella
dell’ascolto. E’ difficile perché ,spesso le voci di quelli che hanno
più cose da dire sono discrete e sottili. Ascoltare non è
obbedire,ascoltare non è trovare compromessi, ascoltare è cercare di
capire e quindi fare i progetti migliori. Fare per gli altri, si
diceva una volta fare il bene comune. Bisogna sempre ricordare che fare
architettura significa costruire edifici per la gente: università,
musei, scuole, sale per concerti. Sono tutti luoghi che diventano
avamposti contro l’imbarbarimento. Sono luoghi per stare assieme, sono
luoghi di cultura, di arte…e l’arte ha sempre acceso una piccola luce
negli occhi di chi la frequenta!... Fare silenzio , cioè
costruire emozioni. Talvolta l’architettura cerca il silenzio e il vuoto
in cui la nostra coscienza si possa ritrovare . Il silenzio è un po’
come il buio . Bisogna avere il coraggio di guardarlo. E poi pian piano
si cominciamo a vedere i profili delle cose …”. Oriana Oliveri
CATANIA
– Teatro Musco: Cari E… stinti, spettacolo di fine anno.Il
cavallo di battaglia di Mimmo Mignemi, Angelo Tosto e
Riccardo M. Tarci in scena dal 29 dicembre per
la stagione del Must Musco Teatro
“Cari e stinti”, è un evergreen di successo e festeggia
il 21° anno dalla prima rappresentazione, al Gatto Blu
nel 1997. L’anniversario approda con lo spettacolo al
MusT Musco Teatro, dove è in scena dal 29 dicembre
in abbonamento, e fuori abbonamento per la serata
speciale di Capodanno del 31, con annesso cenone in
piena regola.Lo
spettacolo è diretto, interpretato,
“stenografato” e “vestito” dalla collaudata coppia
Angelo Tosto & Mimmo Mignemi, che insieme a Riccardo
Trovato hanno altresì scritto il testo. Cari e stinti
era stato pensato in origine come semplice
divertimento e come festeggiamento dei primi
vent'anni di attività professionale nel campo del teatro
dei due protagonisti
amici e compagni di scuola di recitazione. Lo spettacolo
si è rivelato fin dal debutto un sonoro successo anche
nei palcoscenici nazionali (Duse Genova e Bologna;
Ciak di Milano, Lugano).Il
successo ininterrottamente, da quattro lustri, premia
quello che è stato definito lo spettacolo più divertente
dei due attori comici catanesi in scena MusT Musco
Teatro insieme a Riccardo Maria Tarci (nome
d’arte dello stesso Trovato).La
trama dello spettacolo non si può svelare del tutto o
farne cenno senza rischiare di evidenziare i
colpi di scena. Tutta la vicenda si svolge nell'aldilà
dove i due malcapitati protagonisti si trovano
proiettati per errore e dove dovranno rimanere, fino a
quando non verrà posto rimedio. I protagonisti, durante
la loro permanenza nel “mondo dei più”, avranno a che
fare con apparizioni, sparizioni, voci, lettere, pacchi,
fughe e tante altre cose ancora, tutte ad uso e consumo
dell'ilarità del pubblico. La commedia è leggera, quasi
eterea, come un gioco di teatro antico, sia pur nella
sua modernità ed originalità, che ha messo d'accordo tra
loro sia il pubblico più genuino con gli spettatori più
esigenti che la critica più preparata. Lo spettacolo
raccoglie quasi due ore di divertimento, interrotte
solamente da rari pezzi di bravura teatrale, con tre
eccellenti professionisti, reduci da esperienze di
teatro a livello nazionale, ma sempre pronti a scatenare
la fanciullezza del loro animo, per giocare al gioco più
antico del mondo.
Magda Poli sul “Corriere della sera” scritto:
“In Cari e stinti trama e ordito sono da ‘vieni avanti
cretino’, da spassoso qui pro quo, da gioco
di parole e da tormentoni iterati come da tradizione
fino all'esasperazione, che, con il dialetto siciliano
utilizzato con perizia come un grimaldello comico,
fanno di questa commedia un intrattenimento gustoso, un
esempio di teatro schiettamente popolare”.La
programmazione del MusT dunque continua a
guardare al valore della proposta culturale, cercando
anche di intercettare tendenze, esigenze e novità,
proponendo talenti di un territorio sempre più
propositivo e attivo culturalmente.
CATANIA
-Trischitta,
“Bellini a Puteaux” : in scena mesi finali del
musicista. Lo scrittore Domenico Trischitta
col dramma debutta in scena al Piccolo Teatro della
Città di Catania gli ultimi mesi francesi di Vincenzo
Bellini. I mesi finali di vita del musicista Vincenzo
Bellini, sono recitati sabato 13 maggio alle ore 21.00
al Piccolo Teatro della Città di Catania con dovizia da
Piermarco Venditti, Carlo Caprioli, Ornella Cerro e la
regia di Massimiliano Perrotta. Lo spettacolo racconta
gli ultimi mesi francesi di Vincenzo Bellini, coinvolto
in un enigmatico triangolo psicologico col suo amico
Samuel Levys e con la sua attraente consorte... fino
alla prematura scomparsa a meno di trentaquattro anni.
Lo
spettacolo è prodotto da La Vetrina dell'Arte, “Bellini
a Puteaux” si avvale delle scenografie di Giorgia
Casali, dei costumi di Cettina Bucca e della sartoria Il
Teatrino di Carmen & Carmen, della collaborazione di
Sara Nussberger, Marzia Ingitti, Livia Ribichini. Uno
spettacolo è pieno di Musica e passioni, in teatro che
in autunno approderanno anche Roma. Una replica il 14
domenica alle 17,30 è programmata al Piccolo Teatro
della Città etnea.
CATANIA
-
Nino Strano : ”Non rimpiango nulla”.
Il libro “Je ne regrette rien – La libertà è un hula
hoop” è presentato lunedì 18 Dicembre 2017 alle ore
19.00 nel Teatro Sangiorgi in Via Antonino di
Sangiuliano 233 a Catania alla presenza di Nello
Musumeci Presidente della Regione Siciliana Ignazio
La Russa, Vittorio Sgarbi, Pietrangelo
Buttafuoco, Fabio Granata, Gaetano
Galvagno e Gaspare Edgardo Liggeri Presidente della
Cartago Edizioni. Una lunga trama fatta di politica,
impegno sociale, quartieri e palazzi è raccontata nel
pezzo di vita nel viaggio Je ne regrette rien – La
libertà è un hula hoop”. Nino Strano autore ha
già detto:
“Tra cultura, arte, cinema, oli e non stampe, lirica,
ironia, umorismo, inseguimento del bello e del sorriso
in un mondo colmo di invidia, di foruncolose brutture e
fottutissimi onanismi materiali e intellettuali!”. Nino
Strano noto esponente politico, nato in Sicilia ha
studiato al classico ed alla facoltà giurisprudenza,
nel contempo ha operato nell’ azienda di famiglia,
ed in teatri lirici e nel cinema come aiuto regista.
Nino Strano in politica come ha svolto prima il mandato
di consigliere comunale, dopo è stato eletto deputato ed
anche designato assessore regionale al Turismo e
senatore.
L'incontro è anche l’occasione per gli Auguri del Santo
Natale e di un Felice Nuovo Anno”.
CATANIA
-
Salvatore La Rosa economista di Acireale è il nuovo presidente del
Teatro Stabile. Il giornalista Nino Milazzo
qualche mese addietro aveva rassegnato le dimissioni da presidente del
Teatro. Salvo La Rosa, dirigente di banca è stato nominato dal Cda, 60
anni è impegnato politicamente nel Partito democratico.
Catania–
Ambasciatori: Teatro assurdo Becket tenta comunicazione. Dio, dov’è
Dio? Lo stiamo aspettando da circa duemila anni… Lo cercava l’uomo
della pietra e della fionda quando tracciava segni apotropaici sulla
roccia sperando che qualcuno , qualcosa lo aiutasse nel rito della
caccia. Lo hanno cercato durante le guerre, nelle carestie, sul fuoco
dei roghi, nel dolore forse anche nella (poca)gioia. Ma qualcuno si
presentava e puntualmente ci annunciava che Godot si scusava ,però
domani sarebbe senz’altro venuto. Eppure ancora aspettiamo Godot.
Ricordo una bellissima canzone di Claudio Lolli intitolata “Aspettando
Godot” diceva “Vivo tutti i miei giorni aspettando Godot, dormo tutte le
notti aspettando Godot. Ho passato la vita ad aspettare Godot… Sono
invecchiato aspettando Godot, ho sepolto mio padre aspettando Godot…Questa
sera sono un vecchio di settant'anni, solo e malato in mezzo a una
strada, dopo tanta vita più pazienza non ho, non posso più aspettare
Godot… La morte mi ha preso le mani e la vita, l'oblio mi ha coperto di
luce infinita, e ho capito che non si può, coprirsi le spalle aspettando
Godot. Non ho mai agito aspettando Godot, per tutti i miei giorni
aspettando Godot, e ho incominciato a vivere forte, proprio andando
incontro alla morte, ho incominciato a vivere forte, proprio andando
incontro alla morte.” Come prevedibile , Godot non si è presentato
nemmeno ieri sul palcoscenico del Teatro Ambasciatori. Godot (ammesso
che egli esista…) non appare mai sulla scena, e nulla si sa sul suo
conto. Egli si limita a mandare un ragazzo, un messaggero , concesso che
questi realmente, come asserisce, lo conosca , il quale porterà il suo
messaggio ai due protagonisti, "oggi non verrà, ma verrà domani".
Eppure anche se Estragone (Ugo Pagliai ) e Vladimiro (Eros Pagni)
continuano ad aspettarlo , ogni spettatore , alla fine dello spettacolo
ha dato il proprio significato al suo Godot, un valore diverso da
spettatore a spettatore. Aspettando Godot è una tragicommedia dominata
dalla sensazione di incomunicabilità e sulla crisi di identità degli
esseri umani. Ancora nel 1955, data della prima rappresentazione
dell’opera, a cinquant’anni da “l’Urlo “ infinito terrificante di
Munch ( il quale si propaga sull’umanità indifferente al dolore )e al
grido acuto della madre che rivolge al cielo il figlio morto tra le
braccia in “ Guernica” di Picasso , l’uomo cerca ancora Godot. Ma chi è
Godot? Numerose sono le interpretazioni: il destino, la morte, la
fortuna e persino Dio. Lo stesso Beckett non ha mai chiarito questo
enigma , anzi si è così espresso: “Se avessi saputo chi è Godot lo avrei
scritto nel copione.”. La prima trovata scandalosa e geniale del
capolavoro beckettiano è che il protagonista è assente. La recensione
più celebre di quest'opera resta quella scritta da Vivian Mercier
all'indomani della prima londinese del 1955: "Aspettando Godot è una
commedia in cui non accade nulla, per due volte". E tuttavia la vera
domanda ritorna: cosa c'è di così assurdo in Aspettando Godot? Tutto è
estremamente e stucchevolmente plausibile: due uomini attendono un terzo
uomo(?) che non verrà mai il quale sadico continua a farsi gioco
dell’ingenuità dei due protagonisti .E diviene assurdo aspettare , è
assurda l’attesa… E’ il teatro dell’ assurdo, il teatro di Beckett , di
Ionesco, di Adamov, di Genet, di Pinter, degli altri esponenti di
questo genere. La rivoluzione teatrale attuata alla metà del secolo
scorso (anche con Pirandello) ha prodotto vicende rappresentate che per
quanto assurde , strane ed insolite erano concatenate da una loro
logica, logica discutibile , da sviluppi imprevedibili, ma pur sempre
fedeli alle proprie regole, ovvero l’incomunicabilità più assoluta. Ciò
era avvenuto in altri campi , in letteratura , nelle arti visive. Dopo
la seconda Guerra Mondiale la risposta del pubblico , si dimostra ampia
e calorosa , perché in quel teatro riviveva gli aspetti assurdi e
caotici della vita contemporanea. L’ ordine che si nasconde sotto questo
disordine è quello di porre interrogativi e non dare risposte. “La
Cantatrice Calva “ di Ionesco rafforza la consapevolezza che la maggior
parte delle conversazioni tra l’uomo e i sui simili, verte sui temi
banali e ovvi ,e che la banalità è una forma della non-comunicazione,
per parlare per non dir nulla, pur parler. L’uomo parla ma non dice
nulla , conversa ma non comunica. Si è voluto vedere in questo lavoro il
dramma dell’uomo che ha perduto la speranza in Dio : Godot infatti ha
come radice “God”, in inglese “Dio” ,o in irlandese più familiare "God".
Vladimir ed Estragon sarebbero appunto l’umanità che aspetta
passivamente Dio senza provare a cercarlo. Ancora più interessante è
l'ipotesi Godot = God + Charlot, tenendo anche conto dell'amore di
Beckett per le comiche di Charlie Chaplin e per i fratelli Marx, dai
quali ha tratto ispirazione per tratteggiare i suoi Didi e Gogo. Infatti
Vladimiro si presenta sul palcoscenico con una lunga giacca nera ed una
bombetta che parafrasano il divo del cinema muto. Sembra un omino non
sempre dalle raffinate maniere, ma ha la dignità di un gentiluomo,
vestito con una stretta giacchetta, pantaloni e scarpe più grandi della
sua misura ma senza il bastoncino di bambù . Diversamente Rue Godot
è una via di Parigi, una traversa del famoso Boulevard des Capucines ,
dove vi era lo studio fotografico di Nadar che accolse nel 1874 la
prima mostra dei pittori impressionisti, pare che fosse frequentata da
prostitute. Ma l’espressionismo, il tragico dell’opera , ha le sue
radici nel romanticismo tedesco , ovvero nel quadro di Caspar David
Friedrich, "Uomo e donna che osservano la luna" del 1824. Un giorno
Beckett confessò alla sua amica Ruby Cohn che: "sai, è stata questa la
fonte di ispirazione di “Aspettando Godot” , proprio mentre osservava
il quadro, anche se secondo il biografo J. Knowlson ,il vero quadro
che aveva ispirato Beckett sarebbe stato “Due uomini che osservano la
luna" del 1819, sempre dello stesso autore. Riccardo Perricone
ripropone il dipinto nel costrutto scenografico, con un solitario albero
piantato al centro della scena . L’albero diviene l’unico elemento che
cadenza il tempo e segna il suo divenire cronologico, a differenza
dell’immobilismo psicologico dei personaggi, cambiando tra primo e
secondo atto il suo costume di scena, con l’aggiunta di tre foglie. Un
albero che per certi versi nel suo minimalismo ricorda un albero del
primo periodo del pittore Piet Mondrian. Vladimiro ed Estragone
all’aprirsi del sipario ricordano con la confusione del loro non
intendersi parlato, con il Caos Pirandelliano, “ Io son figlio del
Caos; e non allegoricamente, ma in giusta realtà, perché son nato in una
nostra campagna, che trovasi presso ad un intricato bosco denominato,
in forma dialettale, Càvusu dagli abitanti di Girgenti, corruzione
dialettale del genuino e antico vocabolo greco Kaos". Nella cosmogonia degli
antichi greci, il caos è la personificazione dello stato primordiale di
vuoto del buio anteriore alla creazione del cosmo da cui emersero gli
dei e gli uomini . Dal Caos attraverso l’unione di Notte (l'oscurità
della notte) ed Erebo (le tenebre degli Inferi) nasceranno Emera (il
giorno) ed Etere (la luce), una sorta di allegoria tra sonno della
ragione e rinascimento della coscienza umana. Solo una volta Beckett
lasciò intravedere una spiegazione al regista Roger Blin (probabilmente
più per depistarlo che per chiarirgli le idee...) dicendogli “che Godot
derivava dal francese gergale "godillot" ("stivale") perché i piedi
hanno una grande importanza in quest'opera”. I ricordi di quella prima
mitica messa in scena sono raccontati sia da Bair sia dallo stesso Blin.
Il Theatre de Babylone di Parigi, dove avvenne la rappresentazione, era
in realtà un vecchio bazar ristrutturato come sala pubblica in cui erano
stati montati, per l’occasione , un palco e una platea di circa
duecento sedie. Tutto fu realizzato con materiale di risulta: "L'albero
era un lungo appendiabiti coperto con carta crespata [...] La base
dell'albero era nascosta da un pezzo di gommapiuma trovato per strada.
Travolgente la scena in cui i due sono incuriositi dall’ingresso in
scena di due strani personaggi. Uno, un istrionico padrone, Pozzo,
l’altro un misero servo, Lucky. Sembrano l’immagine dell’intelligenza e
della ratio umana (Lucky, Roberto Serpi) tenute al guinzaglio
dell’ignoranza e dalla tracotanza(Pozzo, Gianluca Gobbi). E’ la sorpresa
si rivela quando , il servo bastonato umiliato e relegato al ruolo di
bestia da soma ,inizia un delirante monologo erudito ricco di forbite
citazioni che rivelano e scagionano il suo ruolo di servo frustrato
dimentico della sua dignità di uomo. Solo con una zuffa ,Lucky sarà
messo a tacere. Ed ancora una volta l’ignoranza, la sopraffazione
toglieranno al matto servo, quando la sua corda pazza non suonerà più ,
la sua dignità di uomo. Il monologo inizia come un quadro surrealista,
ha la velocità di un quadro futurista , il non senso di un’opera
dadaista“…Data l'esistenza come gittò nelle opere pubbliche e di Puncher
Wattmann quaquaquaqua di un Dio personale, con la barba bianca
quaquaquaqua di fuori del tempo senza estensione che dalle alture di
afasia divino divino divino apathia athambia ci ama teneramente con
alcune eccezioni per ragioni sconosciute, ma il tempo dirà e soffre…” E’
come se per far passare il tempo si riempia il vuoto con le parole ;
è la negazione del silenzio che si sarebbe verificato se la parola non
fosse presente. Per un attimo sorridiamo e pensiamo che forse uno dei
sei personaggi di Pirandello si è perso tra le pagine di Beckett… Ma il
pensiero del drammaturgo irlandese è quello dei suoi personaggi,
quelli del Teatro dell'assurdo, nato come reazione alla seconda guerra
mondiale. Ha le sue basi nella filosofia esistenziale combinata ad
elementi drammatici di un mondo che non può essere spiegato
logicamente, esso in una parola è ASSURDO! Le trame sembrano muoversi
in un cerchio, che termina allo stesso modo in cui è iniziato. Pare che
Beckett alla domanda di quale fosse il destino degli uomini abbia
risposto “"Che ne so io sul destino dell'uomo? Potrei dirvi di più
ravanelli". Oriana Oliveri
CATANIA
-Francesca Reggiani : “Tutto quello che le donne (non) dicono”
"Comics".E’ l’appuntamento finale giovedì 31 marzo 2011, al
Teatro Ambasciatori, alle ore 21.00 con la diciassettesima edizione
della rassegnaorganizzata dall'associazione"Ecco Godot"con la collaborazione del Teatro Stabile di Catania . Grande
successo di pubblico e di critica si è registrato per la rassegna Comics,
organizzata dall'Associazione Ecco Godot, con la collaborazione
del Teatro Stabile di Catania. Entusiasmante e positivo il bilancio del
cartellone 2010-2011 che propone in chiusura l'attesa esibizione di
Francesca
Reggiani nel
satirico, esilarante, umanissimo monologo “Tutto quello che le donne
(non) dicono”. Data unica: giovedì 31 marzo, alle 21, al Teatro
Ambasciatori, sala prescelta per le sue maggiori dimensioni rispetto al
quella del Musco che ha ospitato i precedenti appuntamenti di Comics,
distruibuiti invece in due serate. A conclusione della carrellata che
ha visto a Catania Gene Gnocchi, Nando Varriale, Max Pisu, Maurizio
Lastrico, l’ultima a dominare la scena e intrattenere il pubblico sarà
dunque "una donna che racconta le donne", con l’ironia e il sarcasmo
tagliente e implacabile che la contraddistingue. Inconfondibile è
infatti lo stile di Francesca Reggiani, unica attrice presente in
kermesse con uno show che non lascia scampo, con le sue battute fulminee
e brucianti, i suoi ritratti feroci e veritieri, le riflessioni acute e
scomode, con quello sguardo ironico e divertente sulla nostra disastrata
attualità che solo la sensibilità di una donna sa cogliere. Il testo,
scritto dalla stessa Reggiani insieme a Valter Lupo e Gianluca
Giugliarelli, per la regia di Valter Lupo, chiama in raccolta una serie
di riflessioni che spaziano dall’attualità più immediata - portando sul
palco personaggi come il Ministro Gelmini, lo psichiatra Vittorino
Andreoli o Sofia Loren - fino alle manie sentimentali delle donne
costantemente ossessionate dall’amore e dalla vita di coppia, con quella
capacità tutta femminile di saltare con incredibile rapidità dalle
problematiche più pratiche ai classici voli pindarici amorosi. Ed è
proprio la visione femminile, che rende questo spettacolo diverso, nel
suo genere comico. “Di solito la formula del one man show è un genere
prettamente maschile – spiega l’attrice – ho voluto confrontarmi con il
pubblico direttamente, senza intermediazioni per dimostrare che una
donna può sostenere brillantemente il palco”.Del resto l’artista,
formatasi alla scuola comica del famoso “Laboratorio” di Gigi Proietti,
e poi venuta alla ribalta del grande pubblico con programmi divenuti
cult, come “La tv delle ragazze”, “Avanzi”, “Tunnel”, è un vero animale
da palcoscenico che domina la scena con la disinvoltura e il garbo
sottile che può appartenere solo a un’attrice comica
CATANIA
-
Cordoglio per Mariella Lo Giudice.
Il mondo artistico ed Il Teatro Stabile di Catania esprimono il più vivo
cordoglio per la dolorosa e incolmabile perdita di Mariella Lo Giudice.
E’ stata una primadonna di fama internazionale e colonna portante del
teatro che l'ha vista nascere e crescere artisticamente. Mariella Lo Giudice
nasce
a Catania nel 1952. Nipote di artisti circensi, viene educata all’arte
della danza, della musica e del canto sin da bambina. All’età di 10
anni, grazie all’amicizia della madre Carolina con Fioretta Mari, viene
scritturata dal Teatro Stabile di Catania per Mariana Pineda di Garcia
Lorca con la regia di Giuseppe Di Martino: nasce da allora in lei quella
passione del teatro che continuerà a conservare pur frequentando spesso
anche programmi televisivi, radiofonici e set cinematografici. Tra gli
innumerevoli spettacoli teatrali che l’hanno vista protagonista sui
palcoscenici di tutta Italia e all’estero ricordiamo: I Vicerè (regia di
Franco Enriquez), La scuola delle mogli (Turi Ferro), Medea (Maurizio
Scaparro), L’uomo la bestia la virtù (Andrea Camilleri), Zaira
(Giancarlo Sbragia), Il segno verde (Armando Pugliese), Il maestro e
Marta (Walter Pagliaro), La lunga vita di Marianna Ucrìa (Lamberto
Puggelli), Così è se vi pare (Guglielmo Ferro). Recenti le tournée con
Tutto è bene quel che finisce bene (regia di Daniela Ardini) e Il
birraio di Preston di Camilleri (regia di Giuseppe Dipasquale).Nel 2011
ha recitato un testo originale scritto da Nino Romeo con Graziana
Maniscalco, La casa della nonna, poi in L’avventura di Ernesto al Teatro
Stabile di Catania per la regia di Giovanni Anfuso e in Il matrimonio
per la regia di Nino Mangano. In ambito televisivo, tra le altre
partecipazioni, ricordiamo quelle a Le stelle dell’Orsa Maggiore (regia
di Anton Giulio Majano), La professione della signora Warren (Giorgio
Albertazzi), Tre anni (Salvatore Nocita), La scalata (Vittorio Sindoni),
L’avvocato delle donne (Andrea e Antonio Frazzi), infine La vita di
Sophia Loren che uscirà nei prossimi mesi per la regia di Vittorio
Sindoni. L’unica esperienza di doppiaggio è stata quella in cui ha dato
la voce a Judy Dench in Diario di uno scandalo; unica rimane anche la
partecipazione ad un video musicale, quello di Carmen Consoli, Non
lontano da qui.
Catania
- “La Tempesta” di Umberto
Orsini al Teatro Stabile di Catania. Un
infernale rumore di moti marini, luci che squarciano le quinte, lo
scroscio assordante della pioggia, un suono acuto ed ecco che il
sipario si apre sulla scenografia. Sembra un gigantesco quadro di Mark
Rothko. Il blu baltico polveroso delle scene è tagliato in tutta la sua
altezza, nello spazio centrale, da una caduta di velluto rosso, che
lacera come una ferita la scena. Lì lo spazio temporale del prima e del
dopo, vengono calibrati nella parafrasi del ricordo e della realtà. Al
centro vi è un letto dove ricordare il passato e fuori , ai lati del
drappo rosso, c’è la spiaggia appena accennata da scultoree zolle, dove
narrare l’immediato. E’ così che è apparsa “la Tempesta” al Teatro
Stabile di Catania. Al centro, Prospero, mago e duca di Milano,
interpretato magistralmente da Umberto Orsini,
in abiti moderni. Un cappello ed un cappotto nero, un camiciotto
bianco, un bastone da passeggio(la bacchetta del mago) e la sua voce
pastosa, tonante. Altrettanto moderne sono le vesti della figlia
Miranda , di Ariel lo spirito dell’aria(Rino Cassano) e di Calibano
schiavo selvaggio e deforme( Rolando Rovello), che evidenziano così la
scelta del costumista Alessandro Ciammarughi di adottare le vesti
moderne per coloro che aiuteranno Prospero ad attuare la sua vendetta.
Ai lati distesi a terra, annichiliti dalla tempesta, con i costumi
dell’epoca invece le vittime del duca-mago : Antonio fratello di
Prospero e usurpatore del titolo, Alonso re di Napoli, Ferdinando suo
figlio, Sebastiano fratello del re, Gonzalo onesto consigliere,
Trinculo e Stefano uno il buffone, l’altro cantiniere ubriaco. Gli
attori si muovono nello spazio scenico, intrecciando le grida del loro
cercarsi con il racconto che Prospero fa alla figlia sul letto
(informando così il pubblico delle loro traversie), mentre Ariel scende
giù dall’alto come un enorme crocifisso senza aureola, a braccia
spalancate, in giacca e pantaloni neri, come il suo padrone. Ma il vero protagonista del “ La
Tempesta” è Prospero. Per alcuni è un colonizzatore un po’ despota, il
quale con la sua arte tiene sotto giogo Ariel e Calibano ( I critici
letterari
post-colonialisti
del XX furono molto interessati a questo aspetto della commedia,
vedendo in Calibano un rappresentante dei nativi sottomessi ed oppressi
dall'imperialismo).
La tempesta è una delle poche opere di Shakespeare che non fa
riferimento alle fonti, se non quelle storiche dell’Italia. Alcune
immagini della commedia sembrano rifarsi ad un rapporto di William
Strachey su un naufragio di marinai diretti in Virginia avvenuto nel
1609 presso le isole Bermuda. Shakespeare doveva essere a conoscenza
dell’episodio ,in quanto anche se pubblicato nel 1625 ,circolava già da
prima in forma manoscritta . Questa commedia è l’unica opera di
Shakespeare in cui sono rispettate, pressappoco, le unità di tempo.
Questa si svolge come ci dice lo stesso autore, di pomeriggio dalle 2
alle 6 di sera. Questo non è che un modo per Shakespeare di costruirsi
il teatro nel teatro, il metateatro, per coinvolgere lo spettatore nei
giochi multilinguistici e polisemici degli attori. Il regista Andrea De
Rosa, che adattando l’opera, ha scelto di far parlare Stefano,
Trinculo e il giovane Ferdinando in dialetto napoletano, coinvolge lo
spettatore nell’azione scenica e attualizzandola lo proietta nella
realtà. Shakespeare enfatizza il tema del metateatro facendo iniziare
la trama della commedia alle due del pomeriggio, ora in cui si tenevano
a quel tempo le rappresentazioni teatrali. È come se si volesse far
assistere il pubblico alla vicenda in tempo reale. Ciò vale anche per la
scelta scenografica e per i costumi. Alessandro Ciammarughi
attua una sorta di rottura della quarta parete. La teoria prende
origine da Bertolt Brecht, dove il teatro epico aveva il preciso
compito di sottolineare la finzione teatrale. Furono le Avanguardie
Storiche come l’Espressionismo ad aprire la strada alla critica del
teatro convenzionale con una più globale partecipazione dello
spettatore, che diviene destinatario attivo, e non passivo, della
rappresentazione. Questo produce l'effetto di ricordare agli spettatori
che quello che stanno vedendo è finzione , e ciò ha un effetto
stridente, il cosiddetto effetto di alienazione (Verfremdungseffekt).
Il metateatro si può riscontrare nel monologo finale quando per molti
critici vi è nell’allusione di Prospero l’addio alle scene di
Shakespeare, la rinuncia dell’attore di recitare nel teatro. L’opera
contiene il compendio dei personaggi più rappresentati da Shakespeare
nelle sue opere : gli innamorati,i nobili, gli spiritelli , le ninfe,
le dee, lo stesso Prospero diviene la reincarnazione del principe
Amleto che mette in scena la sua vendetta. Il tema dell’usurpazione
del regno viene affrontato frequentemente nell’opera. Antonio ha
usurpato il fratello, Calibano accusa Prospero di avergli usurpato
l’isola, Sebastiano progetta di uccidere il fratello , il re di Napoli
Alonso e di prendere il suo posto, Stefano medita di rovesciare il
regno di Prospero e divenire re dell’isola. Il poeta e il regista, ben
riuscendoci nell’adattamento, vogliono sottolineare cosa
contraddistingue Il Buon Governo o una monarchia virtuosa, presentando
al pubblico le varie possibilità. Interessante e coinvolgente è la
figura di Calibano . Essa simboleggia il sentimento non ancora educato,
la poesia prima del linguaggio… Prospero che inizia Calibano alla parola
è lo stesso Shakespeare che trasforma in opera letteraria, ancor prima
del linguaggio, l’ispirazione di questo mostro, il mostro che come
l’artista con parole poetiche e suadenti incanta, persuade.
Intervistato Umberto Orsini, risponde che Calibano, “ è il diverso”.
Ma è anche il diverso alienato, il matto, l’indifeso che il regista fa
muovere in scena toccandosi ripetutamente le parti del corpo . Dal
punto di vista morale, il pensiero di Prospero è volto al perdono. La
tempesta è una commedia a lieto fine. Egli stesso dice ad Ariel “E
perdonare fu sempre più nobile, se pur più raro, che trarre vendetta.
Essi sono pentiti, ed io non voglio spingere il castigo più in là d’un
semplice aggrottar di ciglia.” (V, 1, 27-30). Ma il perdono può
arrivare dopo il pentimento del colpevole,un pentimento al quale egli
giunge attraverso la sofferenza. Prospero impone al fratello Antonio
una pena fisica e morale, facendogli credere che il figlio di Alonso,
Ferdinando, è morto e che la figlia Clarabella, per suo volere ha
sposato un selvaggio; ed è solamente quando è certo che il dolore ha
innestato in lui il pentimento che lo ha redento, donandogli il suo
perdono. E’ una saggezza non cristiana, ma umanista. La saggezza di
Prospero non è più cristiana di quella di Socrate dove il bene non
trionfa per volontà dell’Alto, ma per la volontà di un uomo giusto e
saggio. Lo stesso codice morale al quale si rifà Prospero è umanista, il
perfetto equilibrio tra razionale ed irrazionale, tra umanità e
bestialità. Ed è proprio pensando al senso del perdono attraverso la
complicità del metateatro che Andrea De Rosa si rivolge al pubblico,
facendo appello, alla nostra coscienza. Egli ci domanda se oggi noi
siamo disposti, a rispondere con le stesse parole di Prospero. Se come
Prospero siamo disposti a ricompensare i buoni e a perdonare i cattivi.
Per il regista De Rosa “La Tempesta somiglia a un labirinto. Come in
una casa di specchi , ogni volta che intravedi una via d’uscita , questa
si rivela essere opposta a quella che avevi immaginato. Finché capisci
che ciò che conta è ascoltare le domande che il testo ti pone e
restarci dentro(dentro il labirinto) . E’ l’unica via”. Ma gli
incantesimi sono finiti annuncia al pubblico Prospero nell’Epilogo,
proponendoci così una fondamentale fiducia nell’uomo, nelle forze
elementari (naturali) e ragionevoli che governano la sapienza umana.
Oriana Oliveri
Catania–
Pagliacci: Cavalleria rusticana di Mascagni al Bellini. Hanno
ammazzato compare Turiddu!” . Forte incisivo tagliente ,come il
gesto sulla tela di Ernest Ludwig Kirchner , il grido squarcia
la scena e ne chiude il sipario. E’ l’atto finale di “Cavalleria
Rusticana”. E’ la frase che per antonomasia rappresenta
l’opera dell’appena ventiseienne Pietro Mascagni , tratta dall’
omonima novella di Giovanni Verga dalla raccolta “ Vita dei Campi
“ . Alla prima dell’opera, il 2 maggio, Il coro del teatro Bellini è
stato superbo nella sua interpretazione. Ha fatto rivivere al
pubblico l’emozione bucolica dei nostri paesaggi. E’ stato il tocco
di colore che ha vocalmente descritto sia la gioia che la profonda
religiosità delle nostre tradizioni, ma anche la tragedia. “ Il
cavallo scalpita i sonagli squillano schiocchi la frusta …” intona
Hayato Kamitie , Alfio , eccezionale interprete. Per risposta il
coro del Bellini con un’euforica e travolgente performance intona
“ oh che bel mastiere fare il carrettiere andar di qua e di là”
ed ancora con le stesse parole di Turiddu , Richard Bauer,il coro
trionfa nel celeberrimo “ Viva il vino spumeggiante, nel bicchiere
scintillante, come il riso dell’amante; mito infonde il giubilo!” .
Il regista ,Luca Verdone , malgrado gli effetti della crisi e i
tagli al teatro, ha saputo dare qualità e giusto peso al ruolo
primario della musica , ma anche alla voce e all’emozione che è
arrivava al pubblico diretta, il quale l’ha palesato nel lungo e
sonoro applauso dedicato a tutti gli attori . Il dramma dell’amore ,
della gelosia, del tradimento trovano la loro giusta collocazione
sulla scena, anche nella seconda parte con l’ opera i ” Pagliacci
“ di Ruggero Leoncavallo. Se Santuzza , Dimitra Theodossiou , presa
dal rancore della gelosia nei confronti di Lola, Sabina Beani,
confessa in “Cavalleria Rusticana” al marito di quest’ultima,
Alfio, “ Turiddu mi tolse l’onore e vostra moglie lui rapiva a me!”
, Tonio , nei “ Pagliacci” , deriso da Nedda, confessa al
marito,Canio, il tradimento di Nedda con Silvio, suggerendogli
“cammina adagio e li sorprenderai!” . L’eterno dramma lui, lei e
…l’altro o l’altra. Le due opere sono ambientate entrambe al sud
e fu lo stesso Mascagni nel 1926, al teatro della Scala di Milano,
a decidere di rappresentarle entrambe nella stessa serata, però
sostituendo “Zanetto “ , una sua opera, con i “Pagliacci ” di
Leoncavallo. Il Verga colloca la storia a Vizzini,dove ancora si
possono ammirare i luoghi della “Cavalleria Rusticana”. In via
Volta la casa di Santuzza e di Lola , in via Tetrarca la casa di
Turiddu,nella piazzetta Santa Teresa la chiesetta e l’Osteria della
“ ‘gna Nunzia “ , mamma Lucia nell’opera di Mascagni, e fuori dal
centro abitato , il luogo dello storico duello, “ ‘A Cunzeria “ ,
la conceria,bellissimo esempio di archeologia industriale dove la
presenza del sommacco e del fiume palesano il luogo una volta
deputato alla lavorazione del pellame . Per i “Pagliacci “ invece
Ruggero Leoncavallo si ispira ad un delitto realmente accaduto in
un paesino della Calabria ,Montalto Uffugo ,quando il padre del
compositore , magistrato,istruì un processo per uxoricidio. Ancora
oggi nella cittadina in provincia di Cosenza si tiene ogni anno il
festival in onore del maestro napoletano. L’opera inizia con un
prologo in cui Tonio, il deforme , il deriso, mette in guardia il
pubblico ricordando che “le lacrime che noi versiam son false! Degli
spasimi e de’ nostri martir non allarmatevi! “. E’ un modo di
raccontare il teatro nel teatro. Jacques in “ Come vi piace”
pronuncia la famosa frase “ All the worl’d a stage “ , tutto il
mondo è un palcoscenico. Il dramma va in scena e ciò che si
prospetta non è solo la storia di Colombina, Nedda, e del
pagliaccio, Canio, ma il dramma dell’attore e del suo strano mestere
, ovvero, in questo caso, il mestiere di colui che vestiti gli
abiti da pagliaccio , infarina il volto,lo splasma per indossare
la maschera del personaggio di turno e dunque fingere. Infatti non
a caso il termine fingere deriva dal verbo latino fingere che
significa plasmare. L’essenza di ciò è nella celebre aria (resa
famosa dall‘interpretazione di Caruso ,che nel 1904 quando fu
inciso il primo disco , anche se per grammofoni,superò più di un
milione di copie vendute )“ Vesti la giubba …perché la gente paga e
rider vuole qua!E se Arlecchino t’ invola Colombina, ridi ,
Pagliaccio… e ognun applaudirà!”. L’opera aveva come titolo
originale “ Il Pagliaccio” . Quando andò in scena per la prima
volta Victor Maurel , artista dal carattere fiero e puntiglioso,
non gradì che nel titolo si sottolineasse solamente la figura del
pagliaccio tenore, penalizzando in questo modo quella del
pagliaccio baritono, interpreta dallo stesso. Pertanto avendo
minacciato di non cantare , l’editore pensò bene di cambiare il
titolo da “Il Pagliaccio “ in “Pagliacci” accontentando anche il
riottoso baritono. Finzione e realtà diventano un tutt’uno. Canio
sotto le spoglie del costume di scena , quello del pagliaccio chiede
a Colombina , sua moglie Nedda, il nome dell’amante,
strattonandola e minacciandola con un coltello nel pieno della
scena . Il pubblico seduto attorno al teatrino di paese applaude,
prima non capisce , poi , poi è troppo tardi , quando Canio in preda
all’ira grida alla sventurata di confessare tra gli spasmi il nome
del suo amante . La folla adesso inorridita grida “Che fai?Ferma !
Ferma!” Ma è quel “ferma” che invano gridiamo quando muti, soli
, sentiamo attraverso le pareti domestiche le violenze perpetrate a
madri ,a mogli e a figlie… Ferma, ferma…Ma è troppo tardi , troppo
tardi per indifferenza , perché lasciamo stare, perché è più comodo
far finta di non sentire… Silvio accorre in soccorso di Nedda ,ma
viene accoltellato . Tutto è compiuto hic et nunc, ora e adesso. E’
il tempo della tragedia , quello del teatro che mima il tempo della
realtà alternativa. Per Eschilo la tragedia è il rapporto tra
l’umanità e il divino, per Sofocle la tragedia è l’infelicità degli
uomini che non sanno accontentarsi, mentre in Euripide la tragedia
ha come elemento propulsore le passioni , i sentimenti,l’
irrazionalità. E qui il sentimento della gelosia ha l’aspetto della
passione più abietta . La tragedia dei “Pagliacci" al pari di
quella greca ,ha seguito lo stesso schema rigido: il prologo, il
discorso preliminare di Tonio, la parodos, il canto del pubblico, il
coro festoso, desideroso di vedere lo spettacolo, le pàrodoi,
l’azione scenica che l’ha trasformata in tragedia , ed infine
l’esodo , l’atto compiuto . Vinto sopraffatto dalla violenza
brutale, Canio rappresenta la negazione dei due fondamentali
presupposti che per Aristoltele sono la dianoetica ovvero
l’esercizio della ragione e la virtù morale che consiste nel dominio
della ragione sugli istinti. Adesso tutto è compiuto , che cali il
sipario e a Tonio, a Tonio non resta altro che dire “la commedia
è finita”…Oriana Oliveri
Premio Internazionale “Giovanni Verga” assegnato a Tahar Ben Jelloun
Catania
- La I edizione del Premio Internazionale
“Giovanni Verga”
è stata
assegnata a
Tahar Ben Jelloun
con lo scritto “Partire”. La manifestazione culturale è promossa
dalla Provincia Regionale di Catania. La giuria era composta dal
presidente Giuseppe Castiglione, Vicente Gonzalez Martin, Pasquale
Guaragnella, Enrico Iachello, Sarah Zappulla Muscarà e dal
segretario Enzo Zappulla . Temi del romanzo “Partire” edito da
Bompiani sono l’immigrazione clandestina, l’integrazione, l’umana
condizione di miseria e l’anelito al riscatto sociale. Oggetto del
romanzo, come di Tutta la produzione dello scrittore marocchino
Tahar Ben Jelloun, è caratterizzata dal forte impegno civile.
Gabriele Pedullà con “Lo spagnolo senza sforzo” edito da Einaudi è
stato premiato per la Sezione Opera. La cerimonia di consegna si è
svolta giovedì 17 dicembre, nell’Aula Magna della Facoltà
di Lettere e Filosofia di Catania a conclusione di un convegno
internazionale itinerante, intitolato “Verga Europeo”.
Palermo
- Enzo Zappulla commissario Teatro Bellini. La giunta di governo
della Regione siciliana riunita sotto la Presidenza di Raffaele
Lombardo, ha nominato l'avvocato Enzo Zappulla nuovo commissario
straordinario del Teatro Massimo Vincenzo Bellini di Catania.
Sostituisce il prefetto Anna Maria Cancellieri che è anche commissario
al Comune di Bologna. Al Prefetto Cancellieri la giunta ha
espresso ringraziamenti per il lavoro svolto auspicando che la Sicilia
possa ancora avvalersi della sua competenza dopo che avra' completato il
mandato a Bologna.