I miti e la
stagione poetica-letteraria
di Santi Martorino
Santi
Martorino, scrittore e giornalista, di Floridia (SR), dove vive
ed opera, presenta in un CD dal titolo “Alcantara”, uno
spaccato di tutta la sua produzione lirica – narrativa sulla
sua terra, la Sicilia. Raccogliamo con interesse le sue
liriche, i romanzi, le novelle, le tragedie e le commedie
sull’onda degli scrittori più in voga, partendo con modulazioni
differenti, tra cui Borges, Pound, Verga, Pirandello Eduardo,
Ibsen e Sciascia per scoprire il nesso tra uomo e poesia e tra
uomo e scrittura, dove coralità è canto dell’etnos e scripto è
radici e memoria ed insieme costituiscono antropologia e
frammento di mito. Poesia che ci memorano quel che secondo
Martorino siamo, chiunque, possa essere. Molto eloquenti, per
cogliere il suo punto di vista sulla condizione umana da storia
dolorosa: destinati a morire/sotto gli occhi di chi
nasce/sospinti da un Dio sconosciuto/ad un passaggio doloroso e
vano/sul palcoscenico oscuro del mondo. E’ ampia la gamma delle
modulazioni: nostalgia, stupefazioni, pathos, di colpo cedono il
passo all’uomorismo /. Rido dell’arte e rido anche dell’uomo/dei
canti, dei versi, dei tempi e delle torri/. “I giorni
dell’allegria” e “Il paese delle nenie” sono i due romanzi
contenute nella raccolta. Nel primo è narrata la storia di un
uomo che percorre tutte le strade dell’esistenza, ritrovando
infine l’amore per la propria natura. L’allegria l’abbiamo
cercata con la fanciullezza, anche se spesso il destino è
fatalità. Tutto torna al gioco, al gioco primitivo che nasce
spontaneo, come a “nascondino” dal quale inizia la genuina
tradizione dell’allegria che precede la propria gioventù e la
vera passione per l’impegno civile. Cosa sono invece le nenie?
Esse sono il favoleggiare intorno alla morte attraverso una
retrospettiva che lo porta a viaggiare sulla concezione della
morte pre-cristiana e cristiana. Il filo rosso di tale romanzo
apre alla prospettiva che la vita va narrata insieme alla morte
atavica dei propri avi che con le nenie rivivono nella memoria
collettiva. Le vicende narrate nelle novelle da Martorino –
sono personaggi che le popolano in modo sapiente e incarnano
l’eterna lotta tra le forze del bene in una società segnata da
profonde disuguaglianze e drammatiche lacerazioni. A conferma
della sua vocazione di scrittore, mito e poesia insieme nascono.
Il termine greco mythos, significa parola. I miti, ai quali la
psicanalisi tanto deve all’analisi dei processi mentali-
inconsci come personificazioni di stati, anche dicotomici, del
vivere, sono senza tempo. I miti riemergono dagli strati più
profondi della nostra psiche ed irrompono nella nostra
smemoratezza quotidiana, ricordandoci, che nonostante la nostra
scienza, diversi non siamo, né mai saremo, dell’uomo del tempo
primordiale.
Santi Martorino
|
|
|
|
|
|
|
Scrivo questa
memoria, so che la devo a Gnazio La Pera, giornalista di questo
Informatore di Sicilia, ed anche al mio docente alle
superiori, l’illustre prof. Aldo Carratore, anch’egli
scrittore, famoso dantista. Da lui appresi i primi rudimenti per
un mondo che i siciliani considerano proprio, a dispetto di
avanguardie e sperimentalismi. Scrivo di Jacopo da Lentini, in
particolare, componente ispiratore del “sonetto” che di seguito
illustro. Non fu un caso isolato perché il notar Jacopo ebbe
famosi compagni tra cui Ciullo(o Cielo) d’Alcamo. Del sonetto
di cui Jacopo da Lentini fu l’inventore fu costrutto originale
passato alla storia della scuola siciliana meglio di qualsiasi
altro copyright. Una forma espressiva di poesia che ha avuto
fama del tempo in versi e rime. Esse portano a noi un campo e l’emprimatur
delle sue doti naturali di professionalità di poeta, anche
come spesso sappiamo fare noi letteratura. Che sia malattia?
Non credo! Eppure questa è l’epoca dei format che includono o
escludono tutto ciò che non è spettacolo, ed in fondo ha ragione
chi crede che la poesia è regina di ciò, sia pure con ogni mezzo
e con satira. Per tornare a Jacopo che quasi viene ignorato
rispetto a scrittori rilevanti pur sempre siciliani, quali
Pirandello e Camilleri, passando per i Buttitta, definito il
più grande. Ma è cosi? Io penso alla maestria di suo figlio
Ninu, conosciuto prima all’Istituto Nazionale del dramma antico
di Siracusa, che seguiva il suo collega Giusto Monaco; il famoso
antropologo nella sua mirabile valentia diceva che il padre
Gnazio era “un pazzo”, per il modo in cui faceva poesia. Prima
ti squadra con gli occhi per trarne disegno, ma poi Ninu
aggiunge subito quali scrittori preferivo e tutto si eclissò.
Gli dissi; la mia fonte ispiratrice è la Sicilia, da me ritenuta
luce e metafora del tempo, quanto all’ispirazione risposi che
appezzavo i buoni consigli, tra i quali quelli di Sebastiano
Addamo e Corrado Sofia, per un linguaggio rigoroso ed appartato.
E che dire di Jacopo da Lentini? Egli era un caposcuola della
Sicilia che vanta tanta fama, per la poesia siciliana che fu
unica nel suo genere. Non ha bisogno di suscitare orgoglio,
perché appagante. Tra i sonetti ne cito uno, forse il più bello,
ma vi sono anche dei sonetti che stanno alla pari e qui soccorre
anche Vincenzo De Simone, poeta di Villarosa e tra coloro che ad
onor di lingua fanno parte del dizionario fraseologico
dell’editore Cavallotto.. Il De Simone è divenuto premio
nazionale, di cui il primo presidente di Giuria fu Leonardo
Sciascia, poi il testimone passò a Buttitta, e solo dopo anni
con Corrado Sofia, scrittore e giornalista, anche a me Santi
Martorino e a Nino De Vita, il primo premio in dialetto e in
lingua, insieme ai veri talenti, scesi in Sicilia da ogni parte
dello stivale. Ma in Sicilia non mancano i poeti, come in ogni
terra, anche se la Sicilia è ricca di storia e di leggenda al
riguardo. Per non dire delle sue città e paesi, dove incontri
scrittori, ed anch’io come tanti vanto generazioni di scrittori,
quanti altri vantano, come i Di Pietro (zio e nipote), e i
Martorino( tra Tanu e Pinu), ma ancor più ed altri come lo
storico Francesco Cataluccio, Turi Volanti, Salvatore Failla e
Corrado Alessi, Fu un vanto anche per coloro che sono emigrati
dalla Sicilia per altre fortune come il prof. Gaetano Cipolla,
illustre cattedratico a New York che, con Ninu Russu, vanta una
Sicilia oltre il tempo e nel tempio sta la scrittura siciliana.
Sapere che tutto ciò parte da un notar Jacopo mi riempie di
gioia, perché dopo tanto vanto Aldo Carratore emise la sua
sentenza dicendo che la scuola siciliana perse il suo primato
alla morte di Federico II, l’imperatore che voleva fare della
terra, una terra impareggiabile anche nella lingua siciliana.
Questa emigrò a Firenze con “il dolce stil novo” di Dante.
Così concluse il prof Aldo, mentre citava a mente la “Commedia”
nel dire di Jacopo da Lentini. E tutto fu dimenticato, ma dall’oblìo
ritorna forse nella sua fraseologia fiorentina e siciliana,
come ricorda anche Corrado Di Pietro nella sua sintesi con le
traduzioni del prof. Gaetano Cipolla citando il grande Buttitta,
per non dire di altri. Paolo Albani ricordava che la città di
“Noto” ha avuto più umanisti di Firenze e che il trasmigrare
non vuol dire fuggire. La nostra voce è ancora qui che parla e
canta la terra di Sicilia. Forse ora a distanza di tempo si
riflette anche sul giudizio del prof. Aldo Carratore, che ebbe
per discende anche Salvatore Quasimodo per il greco e rende
giustizia anche il prof. Sebastiano Addamo nel suo ricordo più
lucido che mi rivelò. Da ultimo apprezzo per la caparbietà a
restare in Sicilia, quale testimone della sua opera. Fu effetto
di Jacopo da Lentini tutto questo? Direi di si, e gli altri
hanno innovato almeno nelle arti ciò che la società siciliana
non ha fatto se si tiene conto di quanto indugia il prof
Giuseppe Carlo Marino, per una svolta della Sicilia, senza
mafia. E che dire di Rita Borsellino, per la sua opera sociale e
prima ancora di una cantante passionaria, che fu Rosa
Balistreri ? poeti e cantanti, o meglio scrittori e critici
d’arte, tanto per dirla con Salvatore Ferlita sulla ribalta
della critica e la scrittura dei soliti ignoti di Kalos . Fu in
Sicilia un operare, più che un migrare, perché i migranti
conoscono bene la nostra lingua, come ribatte Ninu Buttitta.
Finchè un meridionale o un siciliano che da quel tempo in poi
hanno ricalcato ogni verso può considerarsi un segno, un simbolo
o una metafora del “nostro dialetto” non riconosciuto da una
pseuda intelligenthia. Intanto Jacopo ha verseggiato in rima, le
riga sono qui sotto, spero il giornalista Gnazio La Pera voglia
rendere onore al concittadino che appartiene alla storia della
poesia moderna. Egli ha saputo cogliere da tempo una memoria
lontana, che può avvicinare la poesia alla vita per vivere di un
umanesimo illuminante, tramite Federico II, la cui felice
intuizione resta a perenne memoria, per fare della Sicilia un
“Laboratorio” di arti e scienze. Anch’io seguo a distanza con la
mia scrittura, fuoco e misura, qui tra i monti Ilbei e la valle
d’Anapo, quale senso del vivere. Affido al tempo questo mio
disvelare, la Sicilianità è forte mi penetra nel dna, famiglia
di scrittori, insieme agli altri e già conosciuti pur disperati
di una scrittura che non ha avuto soste, ognuno nel proprio
dire nell’unità familiare che è ragione di senso, memoria
etnica di Sicilia sopravvissuta, perché ritenuto il primo
salotto letterario di Floridia, che nessuno mai si è sentito di
smentire, tra gli altri siciliani in questa storia vissuta di
leggenda, come fu di Jacopo che non si può contestare. E’ unità
di tempo che continua e intendi sicuro unità nell’anima perché
se intendi scrittura sei sicuro anche tu di far critica sobria e
intelligente anche per gli altri intellettuali, risorsa preziosa
di questa terra, la Sicilia e la sua sicilianità sul sonetto che
è dono della “Sua”memoria che mirabilmente riporto. È ormai
quasi certa per tutti gli studiosi attribuire la paternità del
sonetto vero e proprio a Jacopo da Lentini, nella forma
metrica. Egli fu tra i rimatori della corte sveva ed è il primo
di cui ci restano i sonetti, fu attribuita a lui l’invenzione di
questa forma poetica. Ebbe fama superiore a quella di ogni altro
poeta. Dante ne citò con lode una canzone in volgare illustre,
come caposcuola della vecchia maniera provenzale e tra coloro
che furono tenuti “di qua del dolce stil nuovo” dal “nodo”
dell’imitazione. Singolare sonetto è in “paradiso con la sua
donna “, quel contrasto tra identità morale ed amore, tra virtù
ed attrazione, tra paradiso e terre compone il contrasto per
qualche istante. /Io m’agio posto in core a Dio servire,/com’io
potesse agire in Paradiso,/ al santo loco, ch’agio audito dire,/
o’ si mantien sollazzo, gioco e riso//. Sanza mia donna non vi
vorìa gire, /quella c’ha blonda testa e claro viso,/ ché sanza
lei non poterìa gaudire,/ istando da la mia donna diviso//. Ma
non lo dico a tale intendimento/ perch’io peccato ci volesse
fare;/ se non veder lo suo bel portamento,/ e lo bel viso e ‘l
morbido sguardare:/ ché ‘l mi terrìa in gran consolamento/
veggendo la mia donna in gloria stare//. Con questo sonetto
Jacopo da Lentini apre con serietà il suo cuore e da buon
cristiano per guadagnarsi il paradiso del quale ode discorrere
quale promessa di felicità celeste.
Santi Martorino
I fatti che
avvennero durante il periodo preistorico e cioè in tempi assai
remoti non si conoscono Rimangono copiosi resti appartenenti al
Neolitico, che dimostrano l'importante ruolo avuto in tale
periodo dalla Sicilia per la sua posizione al centro del
Mediterraneo. Note sono il diversificarsi degli aspetti
culturali delle Eolie e della Sicilia nord-orientale, della
Sicilia sud-orientale e di quella occidentale. Tra queste
importante sono importanti le influenze della facies
nella zona della Conca d'Oro, delle facies eoliana e di
quelle di Castelluccio, i villaggi evoluti del periodo di
Thapsos e, nel Bronzo tardo, l'imponente "megaron" di Pantalica.
Omero nell’Odissea (libro IX) fa approdare Ulisse nell'isola
delle capre (Aegades) e la sua descrizione dell’isola riesce
somigliante. Con l'Età del Ferro si ha sviluppo dell'isola
verso forme di organizzazione socio-politica interrotto dalla
fondazione di colonie greche nella parte orientale e fenicie in
quella occidentale. Abitata anticamente da Siculi, Sicani ed
Elimi (nelle zone orientale, occidentale e nord - occididentale),
la Sicilia si aprì presto a insediamenti di coloni fenici e,
più tardi, anche greci. I Sicani provenienti dalla penisola
iberica(vennero a contatto con i lestrigoni una popolazione
vicina ai Ciclopi), presero il nome di Sicani, dall’illustre
ed eroico capo che li guidò che si chiamava Sicano.
Secondo quanto
riferisce
lo storico Tucidide,
i Sicani
abitavano nella Sicilia centrale e sud-occidentale, mentre i
Siculi e gli Elimi
nella
parte orientale, ma vi è presenza di quest’ultimi anche nella
parte occidentale dell’isola... Nella zona nord-occidentale
dell’isola si erano attestati i cartaginesi.
Quando i Siculi, dalla penisola passarono in Sicilia,
spinsero i Sicani, che avevano già contatti con gli Elimi,
(provenienti dalla Turchia), e costituivano inizialmente un
unico gruppo, verso i corsi del Salso e del Platani. La
presenza del Sicani è certa nell’area gelese, dell'agrigentino e
nella parte occidentale dell'isola. Il tiranno di Agrigento
Falaride riuscì a sottomettere il loro primo re Cocalo). Essi
vennero in Sicilia verso il 1200 a.C. e cambiarono la
denominazione di Trinacria in Sicania e divenuta Sicilia con i
Siculi provenienti dalla valle del Tevere. La Sicilia venne poi
occupata dai corsari di Cuma., ma furono i primi Greci che
posero piede nell'isola e ne impedirono la venuta di altri
popoli, chiamando secelioti quelli esistenti. I Fenici,
soprattutto cartaginesi, fondarono città che Panormo, Solunto e
Mozia che permise una stretta alleanza tra i cartaginesi e gli
indigeni Elimi, i cui centri erano invece Segesta, Erice ed
Entella. Le colonie greche non costituirono mai un'unità
politica e anzi furono spesso in guerra tra loro. Esse divennero
però molto prospere e stabilirono intense relazioni con le
città dell'Italia meridionale., con Cartagine e Roma. La
struttura sociale favoriva la classe dei proprietari terrieri,
discendenti degli antichi colonizzatori, a danno del
proletariato, composto invece dai gruppi indigeni e dagli
immigrati recenti. Ci furono lunghe lotte intestine risolte con
l'avvento di regimi tirannici, quali quello di Panezio a Lentini
, di Falaride ad Agrigento, e di Ippocrate a Gela, che costituì
un forte Stato . Gelone, presa Siracusa riuscì anche a bloccare
a Imera il predominio dell’isola da parte dei Cartaginesi.
Gerone, suo fratello e successore fece ancora di più, sconfisse
gli Etruschi nelle acque di Cuma ed estese poi la sua influenza
anche sul mondo greco dell'Italia meridionale.. Questo
espansionismo di Siracusa fu fermato da un moto insurrezionale
dei Siculi guidato da Ducezio (l’epoca dei tiranni era
tramontata e la democrazia si affermava sull’esempio di Atene.
E’ in questo clima socio-politico che Ducezio, di Mineo, il più
grande condottiero dei Siculi, concepisce il suo disegno di
respingere l’invasione greca e di costruire lo Stato dei Siculi,
indipendente e sovrano) e, più tardi dalla famosa spedizione di
Sicilia promossa da Atene che vedeva minacciati i suoi commerci
con gli Etruschi. L'impresa si risolse per Atene con un
disastro, ma Siracusa ne uscì indebolita. Ne approfittò
Cartagine che riprese i tentativi di penetrazione in Sicilia
predando città fiorenti come Selinunte, Imera, Agrigento, Gela
che vennero in parte distrutte. L'avvento del tiranno Dionigi a
Siracusa valse però a salvare l'ellenismo della Sicilia dai
cartaginesi. dopo una lotta durata, con varie vicende.. Dopo i
cartaginesi cui si erano alleati i siracusani per difendersi dal
predominio di Roma, la Sicilia divenne provinciali Roma che
estese il suo dominio su tutta l'isola. Si ribellarono masse di
schiavi che furono a stento domate, ma successivamente anche i
Siciliani ottennero la cittadinanza romana al pari di tutti gli
abitanti dell'Impero romano. La decadenza dell'Occidente romano
colpì a fondo l'isola e la espose a una serie di rovinose
incursioni e all'occupazione, dapprima parziale, poi totale da
parte dei Vandali stanziati in Africa divenuti una grande
potenza marinara. Alla dominazione vandalica, duramente
vessatoria succedette la dominazione degli Ostrogoti. L'età ostrogotica riportò nell'isola una relativa tranquillità e la
Sicilia riassunse il suo antico ruolo di grande riserva di
grano. Dalla Sicilia ebbe inizio la riconquista imperiale
dell'Italia promossa dai Bizantini che già aveva abbattuto il
regno dei Vandali in Africa. L'isola divenne un valido baluardo
militare governata per più di tre secoli dal dominio bizantino.
Questa seconda ellenizzazione della Sicilia si fa risalire al
progetto di fare dell'isola il centro dell'impero, col breve
trasferimento della capitale da Costantinopoli a Siracusa. I
Siciliani reagirono a più riprese sostenendo vari tentativi di
governatori bizantini di sottrarsi al potere imperiale, che
provocò, l'intervento degli Arabi e la loro occupazione. Già
apparsi più volte come corsari, gli Arabi intrapresero
l'invasione della Sicilia, dando all'impresa carattere di guerra
santa. Aspramente contrastati, ne vennero a capo agli inizi del
sec. X. La colonizzazione di (Val di Mazara) (Val di Noto) e
(Val Demone), si stabilì con metodi e risultati diversi da luogo
a luogo e gravò in misura diversa sugli isolani. Non mancarono,
rivolte che non appoggiate da adeguati interventi bizantini,
furono represse. Gli Arabi diedero impulso all’isola che divenne
un centro d'irradiazione della civiltà intellettuale e artistica
islamica. A indebolirla e farla crollare furono i
Normanni(venuti dal Nord) già affermati nell'Italia meridionale
sorretti nella loro iniziativa antimusulmana e dallo spirito
della riforma e avviata all'apogeo gregoriano. L'intervento
normanno era condotto sia contro gli Arabi che contro i
Bizantini. I Normanni introdussero in Sicilia il regime
feudale Con la caduta dei Normanni subentrano gli Svevi che
riuscirono a domare una ribellione di Arabi e portarono a
compimento l'ordinamento assolutistico, centralizzato e
burocratico del regno instaurato dai re normanni . La catastrofe
degli Svevi commosse i Siciliani e provocò anche una
sollevazione antifrancese (gli angioini). In questo quadro il 31
marzo 1282 scoppiò l'insurrezione dei Vespri in tutta l'isola e
venne adottata la bandiera giallo-rossa, con al centro la
Trinacria e che diverrà il vessillo di Sicilia La rivoluzione
del Vespro, fu possibile perchè vi furono alcuni uomini forti
che organizzarono la rivolta in segreto. L'esecuzione capitale
di Gualtiero di Caltagirone, il capo della cospirazione anti
aragonese, segna il trionfo degli Aragonesi e la fine delle
aspirazioni repubblicane. Il Vespro fu una spontanea
sollevazione popolare che sfuggì ai cospiratori, che anzi ne
furono travolti. Basti pensare che nessuno dei capi storici è
alla testa del popolo inferocito contro i francesi nella notte
del terrore. Gualtiero di Caltagirone invece non partecipò alla
congiura antiangioina, ma si opposte ai nuovi dominatori
dell'isola, agli Aragonesi, che si rivelarono inclini a
ricalcare le orme dei cacciati e deprecati angioini. Per
Gualtiero la guerra del Vespro si fermava ai confini dell'isola,
mentre per gli aragonesi la Sicilia era solo una prima tappa di
conquista dell'antico regno svevo. Questo cozzo di idee segna la
sua fine. Personaggio nobile e potente sotto il regno degli
angioini, si ribella per pura idealità di pace e benessere che
voleva conseguire per il popolo siciliano. Ma quando si accorse
che questi ideali venivano meno, anzi calpestati, anche dal
governo aragonese da lui auspicato e favorito, ecco che egli si
ribella pure ai nuovi dominatori, pagando con la morte la sua
ribellione. Quando le corone d'Aragona e di Sicilia,
tradizionalmente separate furono unite instaurò in Sicilia il
governo dei viceré. Per gli aragonesi l’Isola costituì una
valida base per la conquista del regno di Napoli degli Angioini
e ricomposero l'antica unità del Mezzogiorno insulare e
continentale d'Italia. Scaduta a vicereame la Sicilia reagì e
se alla lunga il dominio spagnolo fu causa di conseguenze
negative per l'aggravarsi delle condizioni interne della Spagna
con la Pace di Utrecht l’isola passò, temporaneamente ai Savoia,
per essere assegnata poi all'Austria e riunita al Napoletano.
Nel 1734, infine, sempre unita al Mezzogiorno, i Borboni di
Spagna ebbero il sopravvento e ricostituirono il regno delle
Due Sicilie. Di qui i moti separatisti e la sollevazione dei
siciliani che proclamarono la decadenza dei Borboni, offrendo la
la corona ai Savoia, sollevazione domata nel 1849. Si ebbe
poi l’arrivo di Garibaldi e la rapida liberazione dell'Isola,
conclusasi col plebiscito del 21 ottobre 1860 e il
passaggio all'unione alla monarchia costituzionale del Regno
d’Italia. Le condizioni economiche e sociali dell'Isola furono
all'origine di gravi agitazioni i moti dei fasci siciliani
repressi nel 1894 con lo stato d'assedio, e la conseguente
emigrazione dei contadini. Con la prima guerra mondiale le
condizioni economiche dell’Isola si aggravarono. Soltanto alla
fine del secondo conflitto e lo sbarco anglo-americano riprese
la vita politica dell'intero Paese; la Sicilia, scelse la via
del separatismo. Il fenomeno mafioso si espanse, come quello del
brigantaggio anche se quest’ultimo venne debellato. Il 15 maggio
1946 veniva istituita la Regione e l'Isola era così inserita di
fatto nella vita del Paese e mentre il fenomeno separatista
subiva una seria battuta d'arresto e il problema della
mafia si ramificava in gran parte della penisola.
Santi Martorino
|
|
|
|
LAV
:
NON |
|
ABBANDONARLI |
|
Cos’è il Paradosso?
Da tempo l’Amministrazione
pubblica da intendersi nel più senso esteso della parola,
dovendo mettere ordine al “dolce far nulla” ha imposto sin
dal 1990, o giù di lì, un apposito “regolamento” a firma di
ogni singolo Ministro. Esso ha stabilito una “tempistica“
nella trattazione delle pratiche amministrative, venendo a
sostegno del fatto che non portare a conclusione le pratiche
è considerato reato penale. L’importanza dell’”Assunto”,
però è stato sistematicamente evirato nell’ente locale, per
permettere secondo “un certo modus operandi” di evitare un
grosso inghippo che è la mancanza di competenza. E per
questo mi fermo qui! Dall’altra parte il cittadino forte
della legge dello Stato sulla “trasparenza amministrativa”
si è recato presso l’ente pubblico inadempiente,
rivolgendosi al capo settore, senza avere risposta adeguata.
Il cittadino ha dovuto imboccare la via legale, ma ha
trovato sicuro scoglio con ricorso al politico di turno e,
senza nessun entusiasmo al “boss”, che premendo si è visto
accelerare le procedure ed ottenere la soddisfazione del
suo diritto legittimo. Ne è rimasto invischiato il politico.
Ecco il paradosso! Nonostante ciò nelle regioni d’Italia a
statuto speciale, questo sistema di potere ha continuato; e
guarda caso i capi area degli Uffici locali sconoscono che
significa “trasparenza degli atti e dei procedimenti
amministrativi”(perché riguarda sia il tecnico che il
cittadino). Tuttavia questa è altra questio pur essendo
legge al pari della “privacy,” che divenne legge subito
dopo!. E quanti pochi indagati per questo “sfascio” in
Sicilia che proprio l’altro ieri, si presenta con la
“trasparenza a misura di cittadino,” e con legge 5/72011
parla di “una vera e propria rivoluzione culturale”. Era
ora! Ma purtroppo siamo soltanto indietro di tanti anni di
quel “dolce far nulla” e non mi pare sia questio del
Commissario di governo! Si stabilisca subito “certezza e
brevità” dei “tempi delle procedure, imparzialità e
trasparenza anche nell’Ente locale e sia presente anche il
cittadino durante la gestione delle questioni che lo
affliggono.. Perché dico questo, perché il problema è
“questione di produttività” e di efficacia e non più di
efficienza. L’efficienza la dice lunga sulla storia del
“doppio binario” perché l’ente locale tiene ancora i faldoni
a supporto del computer che così rimane cosa vana; per non
dirle di “quante tasse e tributi” che il cittadino ha dovuto
pagare, per mancanza di ordine. Un sistema pasticcione era
dunque il paradosso? No! E’ questo perché dopo anni di
faldoni, i documenti si disperdono e non si trova più
traccia. “I funzionari” con imprimatur di voluntas dei
hanno bisogno di “essere formati” e invece si trovano a
seguire quello che il “pater familias” detta loro di fare.
Una categoria di gente che per questo lavoro mancante non
viene nemmeno perseguito, anzi viene elevato a “criteri
meritocratici per la perfomance” che nessuno le ha mai dato.
Parlo dei responsabili di procedure amministrative, che
rimandano, tuttavia, i procedimenti i cui tempi hanno una
norma generale recente. Essa fissa in “tempi certi” (in 30
giorni) la durata massima dell’espletamento della pratica, e
per farlo non devono rispondere l’ultimo giorno che, guarda
caso, costituisce impedimento rispetto dei tempi. E’ quanti
tecnici o cittadini in attesa che si giunga ad una
soluzione, e non vengono chiamati perché partecipino al
processo decisionale e senza ricorrere a nessuno. In tal
caso Il termine congruo viene meno e mio malgrado il
paradosso rimane!. Si potrebbe dire è la solita predica che
non produce nessuno effetto, ma io ci metto la faccia ed
anche la firma. E per ora basta così! Santi Martorino
Dirigente Ispettore Ministero dell’Economia e Finanze a.r.
|
Il più
antico emblema della Trinakria,
letteralmente tre (in greco treis), punte (in greco Akrai) è
la testa di Medusa, da cui si staccano tre gambe: In
origine è una bella fanciulla amata da Poseidone che per
rivalità viene trasformata da Atena in una Gorgone: diventa
così un essere mostruoso, alato, con i capelli intrecciati a
serpente. L’eroe Perseo la decapita e dona la sua testa ad
Atena, che la colloca sul suo scudo e sull’egida. Una
radicata tradizione vuole che il triscele, cioè quella
figura composta da una testa di donna da cui si irradiano in
giro simmetrico tre gambe umane piegate al ginocchio, sia
dall'antichità il simbolo della Sicilia. Infatti, per la sua
particolare configurazione geografica, caratterizzata da tre
promontori, Pachino, Peloro e Lilibeo, ben si adatta alla
figura dell'Isola. Da questa configurazione a tre vertici
venne il nome di Trìquetra (a tre vertici o triangolare) o
Trinacria che diede, forse in epoca ellenistica, quella
rappresentazione di una figura gorgonica a tre gambe Più
corretta è la denominazione greca di Triskéles ,
traducibile in "tre gambe", simbolo religioso orientale,
sia del sole, nella sua triplice forma di dio della
primavera, dell'estate e dell'inverno, sia della luna con le
gambe talora sostituite da falci lunari. Questo simbolo
appariva a partire dal VI secolo a C., in monumenti di culto.dei
popoli mediterranei e di quelli che ebbero contatti con
essa. Raffiugurato dapprima con una sola gamba, si sarebbe
poi triplicato a Siracusa, negli scudi delle guardie del
corpo di Dionisio I, completato con la medusa. Il triscele
è stato raffiugato umanizzato senza la gorgòneion in vasi
che sono stati ritrovati ad Agrigento e Gela, appartenenti
al periodo precoloniale da insediamenti micenei. Per cui
anche se la colonizzazione greca e fenicia dell’isola
avvenne contemporaneamente, l’irradiazione della cultura
micenea è più antica, in quanto sviluppatasi a partire dal
II millennio a C, ad opera di guerrieri colonizzatori e
il quindi triscele è di origine micenea.
Santi Martorino
|
|
|